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Si ripete da anni che la Pubblica amministrazione è un tassello importante della modernizzazione di un Paese, essenziale per un’economia competitiva come per una buona qualità della vita. Il rigore con cui sono stati trattati casi di comportamenti scorretti da parte di dipendenti pubblici offre un segnale positivo di cambiamento di clima, ma rischia di nascondere la vera questione e il problema più grave che sta sotto il funzionamento della Pa nel nostro paese. Un’Amministrazione efficiente è possibile solo a partire da un ripensamento chiaro delle funzioni e dei compiti dei diversi livelli istituzionali.
Come sottolineava qualche tempo fa Cottarelli nel suo lavoro sulla spending review, la grande parte della spesa pubblica è vincolata dalle spese per il personale, quindi non può essere compressa, se non attraverso una revisione dei compiti del pubblico, delle sue articolazioni istituzionali e delle funzioni. Esigenza difficile da affermare se persino il Cnel rivendica funzioni per contrastare il suo scioglimento.
L’esperienza indica che dove esistono funzioni utili è possibile migliorare l’efficienza. Pensiamo agli uffici anagrafe dei Comuni o ai servizi sanitari: le tecnologie digitali hanno contribuito a snellire procedure; ciò insieme a qualche intervento organizzativo ha migliorato la qualità dei servizi, consentendo ad esempio di avere documenti in tempi brevi o di ricevere i risultati delle analisi mediche sul proprio computer senza spreco di tempo e (teoricamente) risparmiando personale. Purtroppo resta l’impressione che il personale risparmiato resti parcheggiato in funzioni inutili, dietro a sportelli pressoché deserti. Ovviamente qualunque responsabile del personale sa bene che le persone non sono tutte facilmente ricollocabili per competenze, cultura, flessibilità. Certo, ma le resistenze poste alla riallocazione delle risorse non dovrebbero essere tollerate.
Vi è poi un altro aspetto ancora più serio: può essere razionalizzato un compito connesso a una funzione reale, ma quando la funzione non esiste (perché è stata inventata da una politica interessata solo ad aumentare gli spazi clientelari) nessuna razionalizzazione è possibile. Perché è stato sempre tollerato l’assenteismo? Perché non era urgente che fossero svolti i compiti assegnati al personale assente.
La riforma della Pubblica amministrazione è un aspetto cruciale dell’efficienza di uno Stato e dell’economia. Qualità eccellente dei dirigenti e degli operatori, informatizzazione diffusa che consenta l’accesso in remoto ad una gran parte di operazioni e uno stile di lavoro rigoroso rafforzerebbero nei dipendenti la convinzione di contribuire al bene comune e nei cittadini un sentimento di fiducia.
Ma a monte, si tratta di ripensare il rapporto tra pubblico e privato, tra diversi livelli dell’Amministrazione, tagliando le sovrapposizioni, eliminando funzioni obsolete o che potrebbero essere privatizzate.
Ci voleva Zalone per raccontare l’esilarante situazione dei dipendenti delle Province, spinti a una mobilità impossibile per svolgere compiti improbabilii? Cosa si aspetta in Italia ad accorpare i comuni che hanno meno di 5mila abitanti? Si tratta del 70% dei comuni italiani: non sono in grado neppure di presentare un programma agli elettori, non hanno un soldo per chiudere le buche dei marciapiedi, né per fare scelte di nessun tipo, in quanto il bilancio copre a malapena le spese del personale. E non sono forse troppe le regioni e non sono forse duplicate molte funzioni tra queste e lo Stato? E’ questo il coraggio che serve per un paese moderno. Ho l’impressione che la resistenza non venga dai fannulloni, ma dall’approccio clientelare seguito dalla politica a cui sarebbe necessario davvero cambiare verso.

Maura Franchi vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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