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Il settanta per cento degli italiani è analfabeta, analfabeta funzionale: legge, guarda, ascolta, ma non capisce. Poi, sarebbe questa Europa ad essere d’intralcio, a impedirci di spiccare il volo, semplicemente perché ci mette con le spalle al muro delle nostre responsabilità.
Mentre siamo lontani dall’aver raggiunto le competenze chiave per l’apprendimento permanente, il 22 maggio di quest’anno il Consiglio dell’Unione europea ha licenziato altre raccomandazioni, con in allegato il nuovo quadro di riferimento.
Nel frattempo i nostri governanti pro tempore parlano un linguaggio destinato a farci accumulare ulteriori ritardi in materia di istruzione e di formazione, contribuendo ad oscurare le prospettive per i giovani e per il paese nel suo insieme.
Nuotiamo nell’incompetenza e non ce ne accorgiamo, come ovvio che avvenga, quando si è ignoranti si ignora di non sapere. Si pensa di rilanciare il paese ampliando il deficit, dimenticando il deficit più grave di cultura e di competenze. Come se l’impresa e il lavoro fossero un’altra cosa, non avessero bisogno prima di tutto di un capitale umano preparato e competente, che sappia trasformare le idee in azioni e farle diventare valore per il mercato e per il Pil del Paese.
Prima del reddito di cittadinanza c’è da garantire la cittadinanza, se non vogliamo che si riduca al solo dato anagrafico. Il Consiglio d’Europa ci ricorda che la cittadinanza ha le sue radici nella primissima infanzia e, più che la terra da coltivare per il terzo figlio, c’è urgenza di nidi gratuiti per tutti, di generalizzare i servizi e la scuola per l’infanzia da zero ai sei anni, la cui frequenza è strategica per il successo formativo di ciascuno e per l’esercizio della democrazia.
Ogni persona ha diritto ad un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente, per l’intero arco della propria esistenza, di qualità e inclusivi, in modo da conservare e acquisire competenze che consentano di partecipare da attori alla vita civile, di accedere con successo al mercato del lavoro, questo è il pilastro su cui poggiano i diritti sociali. Ma se non c’è cultura non vi può essere neppure cultura dell’istruzione e della formazione. Pensare che le difficoltà e i problemi del paese si risolvano con operazioni di maquillage elettorale è il segno di questa ignoranza e dei disastri che può produrre.
Sarebbe impellente riprendere a mano il nostro sistema scolastico per garantire agli studenti di ogni ordine e grado insegnanti preparati con elevate qualità professionali. Non solo. Abbiamo l’urgenza, come ci suggeriscono le raccomandazioni europee, di esplorare nuovi territori ed itinerari didattici, rivoluzionare i nostri ambienti di apprendimento, renderli più flessibili, aperti al territorio, alle attività extracurricolari, adatti alle necessità di una società ad alto grado di mobilità. La strada da percorrere è tanta, mentre noi in questi anni ci siamo smarriti tra precariato e cattedre, accumulando enormi ritardi. È la cultura dell’educazione quella che è assente, la cultura dell’educazione necessaria a un paese proiettato verso il futuro.
Per non parlare dell’apprendimento non formale e informale, per i quali mancano politiche nazionali e locali, di cui continuiamo a trascurare l’importanza per lo sviluppo delle competenze del capitale umano. Anche le polemiche intorno all’alternanza scuola lavoro sono lo specchio di ciò, di come il formale fatichi ad incrociare l’informale, con la conseguenza di privare i nostri giovani delle opportunità di apprendimento che potrebbero derivare dalla cooperazione tra contesti diversi, da una pluralità di approcci, di occasioni e di modi di conoscere.
L’Europa nel riproporre il corredo delle competenze chiave necessarie alla realizzazione personale, alla salute, all’occupabilità e all’inclusione sociale pone particolare attenzione alle competenze necessarie per aprirsi alla globalizzazione della cultura e della formazione, alla globalizzazione delle cittadinanze, al muoversi dei nostri giovani per itinerari che sempre più conducono lontano dai loro luoghi di origine, lontano per poter continuare a studiare come per cercare lavoro, lontano per incontrare altre culture in un mondo che si dilata non solo nella rete virtuale ma nei passi quotidiani e nei tragitti delle nuove generazioni. Le migrazioni sono tante e hanno origini diverse, non tutte drammatiche fortunatamente, ma l’idea non può che essere quella di liberarsi delle nostre culture ghettizzanti per contribuire a costruire un mondo accogliente.
E allora diventano abilità di base le lingue, la conoscenza e l’apprendimento delle lingue, per incontrarsi, incrociare culture, per dialogare. Come la necessità di motivare un maggior numero di giovani a intraprendere carriere in ambiti scientifici, di studiare le “STEM”: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Il miglioramento delle competenze digitali, perché i posti di lavoro e la vita quotidiana sono sempre più automatizzati, le competenze imprenditoriali , la creatività e lo spirito di iniziativa, le competenze sociali e civiche e la capacità di adattarsi ai cambiamenti.
Competenze per promuovere uno sviluppo sostenibile, stili di vita sostenibili, i diritti umani, la parità di genere, una cultura pacifica e non violenta, la cittadinanza globale e la valorizzazione delle diversità culturali.
Rispetto a dove pare andare il paese, l’Europa ci propone un’istruzione controcorrente, anzi competenze controcorrente, in sostanza una vaccinazione contro sovranismi e populismi.
Intanto in Italia il vettore della formazione ha invertito la rotta, punta alla regionalizzazione dell’istruzione, ognuno a casa sua, con il suo folklore, che vuol dire Europa addio, noi la nostra scuola ce la facciamo, più che in autonomia, in autarchia.

in copertina elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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