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Giovane donna in bianco, sfondo rosso” è il simbolo della mostra di Henri Matisse a Ferrara. E chi entra a palazzo dei Diamanti – dove è esposta fino al 15 giugno – quella ragazza potrà vederla muoversi, ridere e poi impressionare, pennellata dopo pennellata, la tela che è appesa lì. Abito candido, capelli sciolti e una risata spensierata, la fanciulla si lascia cadere sulla poltrona della casa-studio del pittore fauve. Grazie a un filmato in bianco e nero ci si ritrova, a distanza di tre quarti di secolo, nel preciso momento in cui Matisse è faccia a faccia con la sua modella. Barba, occhiali e completo grigio, l’artista, che in quel momento ha già 77 anni, traccia con poche linee decise gli occhi di lei, rapide pennellate per i capelli ondulati, un’unica linea per naso e sopracciglia.

Quello con la “giovane donna in bianco” è solo uno tra i tanti incontri che la rassegna d’arte, curata da Isabelle Monod-Fontaine, offre al visitatore. Le sale ferraresi raccolgono la produzione di Matisse e la ripropongono in ordine cronologico, dal debutto più accademico della stanza d’ingresso fino ai collage fatti con carta colorata e ritagliata (gouaches découpées) degli ultimi anni. Ma ogni volta il racconto della carriera di uno degli artisti che ha cambiato il corso dell’arte del Novecento, procede come un dialogo tra le figure impresse in quadri, disegni, sculture.

I primi lavori esposti sono il “Nudo in piedi” fatto a carboncino nel 1900 con la tecnica più tradizionale del ritratto dal vero; a poca distanza c’è il “Nudo in piedi” dipinto a olio su tela un anno dopo, dove già il tratto naturalistico si addensa in macchie di colore quasi impressionistiche. Pochi passi ed è “Madeleine II”, una scultura di bronzo del 1903, dove la materia è un accumulo di ombre, una massa lavorata a piccoli tocchi che conferiscono al metallo scuro la luminosità di dense pennellate, una forma semplificata ma di volume armonico. Il dialogo ricomincia tra le teste dei ritratti: quello su tela della bambina “Nono Lebasque” (1908), dominato dai colori brillanti di abito verde, sfondo blu e giallo sbiancato del viso, ha la leggibilità dei disegni infantili e si confronta con la semplificazione delle forme del mezzo busto in bronzo intitolato “Jeanette III” (1911) con le ciocche dei capelli riassunte in quattro masse di materia, le orbite degli occhi che diventano due cavità accentuate, le guance rese in un paio di volumi rotondi. Parlano tra loro le tele dallo sfondo rosato dove Matisse prova e riprova una composizione di figure intere, “Nudo seduto” (1909), con il caschetto di capelli della modella che d’improvviso può dialogare con quello di una visitatrice ferma ad osservarla. Nell’ultima delle sale queste figure raggiungono la massima sintesi nelle gouaches di cartoncino colorato o nei disegni a inchiostro su carta, come quello di “Acrobata” realizzato da Matisse nell’ultima fase di attività (1952). Poche pennellate sicure, che spingono la figura fino ai limiti dell’astrattismo.

Chiusura nel vivace bookshop, dove l’esplosione di colori di Matisse prende la forma di poster, libri, quaderni dedicati alla sua opera, ma che sembra contaminare anche tutti gli oggetti di design, le borse, la bigiotteria e la fotografia di cucina creativa in esposizione tra banchi e scaffali. I canoni estetici del grande rivale di Picasso sono dunque ancora attuali: il dialogo continua.

Link alla sezione IMMAGINARIO – Anteprima di Matisse

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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