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Come sia stato possibile che l’espansione planetaria di Facebook abbia coinvolto tutte le fasce di popolazione non lo sanno solo Dio e Zuckerberg, come provocatoriamente suggerito da Nicola Cavallini nel suo interessante articolo del 24 Gennaio su Ferraraitalia [Qui]  .
La costruzione di un social network come Facebook richiede il contributo di fior fior di psicologi e sociologi, impiegati a costruire algoritmi adatti a parlare alla psiche umana e studiati per sfruttarne le fragilità. Lo scopo è quello di ottenere che gli utenti lo utilizzino in un modo specifico e prevedibile (ad esempio, farci restare il più a lungo possibile sulla piattaforma, proponendoci una serie di contenuti verso i quali abbiamo una reazione di “click” compulsivo). In altri parole, nella costruzione di un Facebook servono elevate  professionalità impegnate per hackerare – trovare e sfruttare delle falle di sistema- i nostri comportamenti normali e funzionali: renderli cioè disfunzionali per noi, ma vantaggiosi per altri.
Questo problema, e alcune strategie per venirne a capo, sono trattate da Cal Newport nell’ottimo Minimalismo digitale (ROI EDIZIONI, 2019). Di fronte alle società della Silicon Valley che hanno sfruttato le più avanzate scoperte della psicologia e delle neuroscienze per tenerci incollati ai loro dispositivi. dando vita alla cosiddetta ‘economia dell’attenzione’, il minimalismo digitale di Newport, professore di Computer science, ci propone di fare un passo indietro e ripensare il nostro rapporto con la tecnologia in maniera attiva, assieme a diverse tecniche per riprenderne il controllo.

Facebook (tra gli altri), benché architettato da un’azienda privata, è diventato così diffuso e funzionale (anche se solo per una frazione degli scopi per cui viene propagandato), tanto da esserci presentato alla stregua di un servizio pubblico. Con qualche fondamentale differenza, perché, essendo un software ‘proprietario’, il pubblico non può esercitare nessun controllo (se non molto in superficie) né sul modo in cui tale strumento funziona (come è scelto davvero ciò che vedrete) né sulla qualità dei prodotti che fornisce.
Un po’ come se il gestore dell’acqua potabile non rendesse pubblici i risultati delle analisi dell’acqua che arriva ai rubinetti di casa, né li trasmettesse all’Azienda Sanitaria Locale. Ciò permette l’introduzione di dis-funzionamenti sociali molto discutibili dal punto di vista etico, sociale e politico, con impatti di larga scala. A titolo esemplificativo, può sorprendere sapere che gli stessi progettisti di questo tipo di strumenti, tendono ad imporre a se stessi e ai propri familiari (a partire dai bambini) una sostanziale distanza da questi strumenti ‘social’. E’ questione di autoconservazione.

Certo, non è facile capire quanto uno strumento che siamo abituati ad usare di continuo sia disfunzionale per la nostra vita. Rendersene conto è appunto una questione di autoconservazione e può rendere la nostra vita molto più funzionale a ciò che ci interessa veramente. Usare software di tipo Free/Open Source è un modo per voltare pagina, riprendere controllo su questo interazioni: ristabilire chi è che controlla e chi è controllato (il social Mastodon [qui e qui]è un notevole esempio di questo tipo). Ma anche confinare Facebook e consimili in uno ‘spazio sotto maggiore controllo’ può essere rendervi un grande servizio. E Newport vi suggerisce una serie di metodi per riuscirvi e sentirvi presto più liberi e padroni della vostra vita.

Ad ogni modo, se un servizio è davvero un bene di prima necessità, indubbiamente il modo e la qualità con cui questo viene fornito dovrebbero essere sottoposti al controllo del pubblico, seguendo il principio di trasparenza. In altre parole, per l’autoconservazione individuale e sociale, la richiesta più giusta e più ovvia è quella che i codici alla base dei servizi internet – oggi di fatto considerati essenziali  – siano forniti come Free/Open Source. Solo così il pubblico potrà controllarli e renderli innocui per individui e società.

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Francesco Reyes


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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