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Il nemico numero uno è il virus” chiosa il presidente Mattarella. “Tutti contro uno” rimbomba,  e subito sento salire dalle viscere un moto di rabbia. La mia non è una critica all’uomo Mattarella, ma al suo sguardo sul mondo, uno sguardo maschile, dal sapore patriarcale, che ha bisogno a tutti i costi di individuare il nemico con la speranza di riunire le armate e di motivarle alla battaglia. Ma noi non siamo un’armata!
Mattarella non è il solo ad avere questo sguardo sul mondo; è uno sguardo che accomuna i potenti della terra, i filantrocapitalisti che ti dicono quali sono i tuoi  problemi, poi  ti dicono cosa devi fare e infine ti vendono, badate bene ti vendono, la soluzione. 

Ma come è possibile continuare a parlare del virus come nemico quando il nemico, cioè la causa di tutti i mali, è il sistema su cui è costruita la nostra comunità e il virus è solo uno dei suoi sintomi? Nel primo lockdown, quando l’invisibile e sconosciuto virus ci ha raggiunto, i cittadini italiani hanno reagito in modo composto e con grande responsabilità e hanno usato il tempo dello stop per promuovere pensiero. Lo stop ha restituito pensiero creativo. Si è parlato della terra che tornava a respirare, della natura che tornava a farsi vedere anche nelle nostre città, dove la cementificazione ne ha cancellato i messaggi inequivocabili.
Splendido a tale riguardo il video che trovate qui: Lettera dal Virus
Guardatelo, voi che ci dite che il virus è il nemico numero uno e parlateci con le parole che usa  la straordinaria autrice della lettera Fermatevi, Darinka Montico.

Le persone che manifestano lo fanno perché non ne possono più di essere trattate come degli ignoranti senza capacità di pensiero critico. Le donne conoscono bene questa condizione. Da tempo immemore la nostra umanità è valutata solo in base alla nostra capacità di riproduzione, per il resto siamo emotive, siamo deboli, incapaci di scindere pensiero razionale dai sentimenti, siamo delle isteriche, insomma siamo più animali che umane etc. e, a volerla dire tutta, se fosse davvero così la realtà delle donne, oggi è solo un valore di cui la società non può fare a meno. È proprio quel sapere viscerale, che può indicarci la strada e non certo ‘il dio tecnologia’ propagandato dall’ideologia transumanista che fa piazza pulita invece della dignità dell’essere umano.

Un anno fa è uscito per Marlin editore il mio primo romanzo Il mio nome è Maria Maddalena, nel quale tratto il tema della maternità surrogata e della natura. La tesi di fondo: la logica estrattivista patriarcale e capitalista oggi si rivolge ai corpi riconoscendogli valore solo perché si possono immettere sul mercato, esattamente come è stato fatto con le risorse naturali, e di cui oggi siamo testimoni dello scempio commesso.
Il ventre della mia protagonista, Maria Maddalena, si innesta nel grande ventre primigenio della foresta amazzonica e la porterà a dire “più mi addentro nella foresta e più mi è chiaro che la conoscenza di queste popolazioni ci può salvare dal buco nero in cui ci siamo cacciati. Non c’è tecnologia che può insegnarci a vivere, dobbiamo ripensarci antropologicamente.”

Tutte le nostre energie oggi non dovrebbero essere rivolte a combattere un virus invisibile, ma se mai quella retorica del capo, del cervello che dice agli arti cosa devono fare, senza tenere conto di quanto siamo tutti interconnessi, virus compresi.

Leggetevi La nazione delle piante di Stefano Mancuso. Alla fine del libro Mancuso cita la teoria endosimbiotica della Margulis detta così “appunto perché prevede una simbiosi , ossia un rapporto favorevole tra due organismi  che vivono uno all’interno dell’altro…”, teoria che spiega l’evoluzione della vita sul nostro pianeta. Ebbene chi più delle donne può attingere a questo sapere biologico e umano nello stesso tempo? Il sapere delle donne è un sapere simile a quello delle cellule, è ancestrale, è simbiotico per l’esperienza che fanno tutti gli esseri umani venendo al mondo, ma di cui le donne portano un sapere nella carne, proprio perché uniche in grado di ripeterla più volte nell’arco di una vita, è inscritta nella loro carne.

La pandemia ha reso evidente quanto manchi ai potenti (per lo più maschi) una visione a lungo termine sul mondo capace di renderci solidali e uniti, simbiotici in una parola, dove non vince il più forte ma coloro i quali sapranno essere simbiotici con l’ambiente che ci circonda, con coloro che sapranno riconoscere che è l’unità tra diversi, che è la biodiversità che ci può salvare. La vera battaglia che ci attende, quella di impedire la sesta estinzione di massa, virus o non virus, è da fare, ma in connessione con tutti gli esseri viventi, senza pensare arrogantemente che l’uomo (aggiungerei maschio bianco) è il migliore e ha diritto a sopravvivere soggiogando le altre specie.

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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