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Immagino che le discussioni sulle prossime elezioni amministrative siano già cominciate in altre sedi, nei ristretti cerchi della politica, e immagino che l’attenzione primaria di questa discussione, per i partiti del centrosinistra – Pd in primo luogo – sia centrata sulla preoccupazione di sopravvivere all’onda montante del populismo e della destra. Obiettivo non facile perché la politica vive una crisi di reputazione che va ben oltre i contenuti dei programmi.
Il centrosinistra vive una crisi di credibilità che per essere recuperata richiederebbe alcune condizioni. La prima è quella di mettere in campo figure non identificate con gli interessi “di casta” e che sappiano parlare – con competenza – dei temi e delle preoccupazioni delle persone. La seconda è quella di esprimere idee, configurare obiettivi e traguardi, dare il senso di avere capito la domanda di “nuovo” che viene dai cittadini. E questa condizione è già più difficile. Occorre uno sguardo sulle emergenze del presente che sia nel contempo capace di cogliere le traiettorie future.
La comunicazione è importante, ma non è tutto. Ascoltare non basta, bisogna proporre: questo è uno dei tratti distintivi di una politica seria capace di assumersi la responsabilità di indicare una strada. L’incontro svolto lunedì alla sala dell’Arengo, su iniziativa di Mario Zamorani (Radicali Ferrara), aveva questo obiettivo: offrire alla politica e soprattutto al Pd (riferimento cardine del centrosinistra) alcune riflessioni sulle questioni che riguardano la città. Tutto ciò per cominciare a discutere delle elezioni amministrative, lontani da qualunque intenzione di negoziare posti. Ma un’offerta (di competenze) senza una domanda (di politica) cade nel vuoto.
Provo, comunque, a riassumere alcune riflessioni che ritengo utile proporre all’attenzione. Due parole mi sembrano imprescindibili per costruire programmi per il futuro della città: sicurezza e innovazione.
La sicurezza è una condizione di base della vita delle persone, dobbiamo smettere di pensare che è una parola di destra. La sicurezza travalica la questione dell’ordine pubblico e riguarda la qualità della vita di ogni giorno. La sicurezza è la condizione che fa di una città un luogo senza confini interni mentre la paura alimenta la domanda di recinti ed enfatizza le distanze sociali. Garantire sicurezza è l’unico modo per evitare che si producano luoghi di vita separati per i ricchi e per i poveri: giardini separati, quartieri separati, scuole separate. La sicurezza migliora la qualità dei luoghi pubblici e la qualità della vita. La vivibilità di una città è fatta di tante cose: la qualità dei negozi, gli arredi urbani che comprendono i luoghi di sosta, l’estetica diffusa, i parchetti attrezzati per i bambini e gli attrezzi per la ginnastica degli adulti, le sedi in cui si fa cultura.
Il secondo punto riguarda l’innovazione. Ferrara ha coltivato il mito di città d’arte e su questa cifra ha costruito la sua identità. Ma non ha saputo giocare su questa carta le sue opportunità di crescita. Ha gestito il tema con un approccio intellettualistico, organizzando per lo più eventi di prestigio culturale, importanti, ma che non hanno inciso nelle rotte del turismo. La qualità delle iniziative artistiche del Palazzo dei Diamanti non basta a produrre vantaggi per l’economia della città, per migliorare la vita per i residenti, né per attrarre visitatori.
Per attrarre turisti e migliorare la vita dei cittadini Ferrara deve proporre un’immagine nuova. Può fare questo a tre condizioni: offrire esperienze diversificate, puntare ad una città bella e ricca di opportunità per chi la abita, comunicare meglio. “Ferrara città della bellezza” è un concetto molto più ampio di quello di città d’arte. La bellezza può essere fruita quotidianamente, ha a che fare con la qualità della vita di tutti, riguarda anche spazi pubblici adatti a fare incontrare le persone. Innovare vuol dire guardare fuori dalle mura, ma anche sollecitare il dialogo tra diversi attori pubblici e privati, ma soprattutto presuppone che alla pigrizia (carattere spesso attribuito a Ferrara) si sostituisca una tensione diffusa verso il miglioramento continuo.
Credo che sia necessario innescare un processo di imitazione creativa, fatto della capacità di guardare cosa hanno fatto gli altri, di adattare esperienze che hanno introdotto piccole o grandi innovazioni. Studiare cosa hanno fatto gli altri fa risparmiare tempo e denaro ed evita sprechi di denaro e figuracce, come è accaduto per la raccolta differenziata, una pagina non brillante che poteva essere evitata guardando oltre il cortile.
Non si possono imbalsamare le idee con la scusa che non ci sono soldi per fare progetti. Occorre creare un clima in grado di sviluppare energie diffuse. Le idee non costano, ma vanno coltivate, messe in circolo, anche copiate se serve. Molte idee potrebbero essere raccolte. Ma la condizione perché ciò accada è che la politica colga la domanda e non si limiti ad accordi interni per costruire la lista di candidati.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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