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Ferrara nasce sull’acqua ma lo ha dimenticato. Ha dimenticato il fiume, rinnegando la sua natura intrinseca. Bisognerebbe invece riscoprire il Po, il Volano, il Primaro e farli tornare ad essere una risorsa” dice Leonardo Delmonte, guardando fuori dalla finestra del suo ufficio in direzione della darsena. È una splendida giornata di sole e il paesaggio d’acqua, inedito per molti ferraresi, è bello nella sua diversità. La banchina è vuota e il sole crea sulla superficie del fiume dei suggestivi giochi di luce. In fondo, i retro delle case sono semi coperti da dei canneti e alcune anatre starnazzanti immergono il collo nell’acqua in cerca di cibo.

Leonardo Delmonte è uno dei fondatori dell’associazione ‘Basso Profilo’, nata nel 2007 all’interno della facoltà di Architettura di Ferrara, con l’obiettivo di individuare il ‘basso profilo’ come motore di un nuovo metodo progettuale che parte, appunto, dal basso. A sua volta ‘Basso Profilo’ è il capofila del consorzio ‘Wunderkammer’ che dal 2012, in seguito alla vincita di un bando indetto dal Comune di Ferrara, ha come sede operativa il Palazzo Savonuzzi: ex magazzini fluviali sulla darsena del Po di Volano, costruiti nel 1940 dall’ing. Savonuzzi e restaurati nel 2004. Un grande spazio polifunzionale che diventa un centro culturale con l’intento di coinvolgere persone di tutte le età in attività che vanno dai campi estivi per bambini e l’insegnamento delle lingue straniere, grazie all’associazione ‘Encanto’, ai corsi e i concerti di musica moderna, organizzati dall’associazione ‘Musicisti di Ferrara’ sempre facente parte del consorzio, o le attività di riscoperta del fiume portate avanti dall’associazione ‘Fiumana’.

Wunderkammer, che in lingua tedesca significa ‘camera delle meraviglie’, in riferimento alla pratica, diffusa da alcuni collezionisti del XVI-XVIII secolo, di raccogliere in stanze apposite degli oggetti fuori dall’ordinario, si prefigge di reinterpretare in chiave moderna questo concetto e concentrare nei propri spazi la produzione artistica giovanile e le attività rivolte alla cittadinanza attiva. “Lo spazio interno, che abbiamo voluto il più possibile aperto e flessibile- spiega Delmonte- lo intendiamo come tutt’uno con l’esterno. Di fatto, vista anche la nostra posizione, abbiamo a che fare con due realtà: la darsena e l’elemento acqua e il quartiere Giardino e il verde urbano. Questi due temi a Ferrara sono meno distanti di quel che possa sembrare: entrambe le aree, infatti, sono unite dalla stessa carenza di vocazione identitaria. Da una parte ci si è dimenticati della matrice naturale, dall’altra si è voltato le spalle al fiume”. Il quartiere Giardino è stato costruito riprendendo il concetto di ‘città-giardino’, ovvero una città ideale capace di inglobare il paesaggio rurale nei siti urbanizzati. Eppure, se ora si parla di Gad a Ferrara, l’impressione è prevalentemente negativa. ”Il quartiere fa parte del centro- dice Delmonte- eppure viene avvertito come periferia. Diciamo che è come una auto profezia che si avvera: ci si sente ai margini e si vive come se lo si fosse. Ci sono realtà intese come problematiche: la stazione, lo stadio e lo stesso ex Mof sono tutti punti di scambio che stressano il quartiere. Il fatto stesso che in questo punto della città si interrompano le mura cittadine è un elemento da non sottovalutare. Vi sorgeva una fortezza pontificia, poi abbattuta, e il vuoto che è rimasto interrompe il cerchio delle mura: uno degli elementi più famigliari ai ferraresi a da qui il senso di estraneità che ne deriva”. Eppure sono proprio questi elementi di differenza che per Leonardo Delmonte sono la vera forza del quartiere.”La differenza è un valore, bisogna spezzare il circolo vizioso e farlo diventare virtuoso. Certo, a Ferrara, tra le linee precise create da Biagio Rossetti, lo spazio libero e l’erba alta spaventano. Altrove uno spazio come quello del tratto di mura del quartiere Giardino sarebbe liberamente usato dai cittadini per prendere il sole o leggere un libro, invece nel quartiere lo spazio pubblico più utilizzato è la piazza dell’Acquedotto, ossia uno spazio molto monumentale ed asfaltato”. Lo stesso discorso, spiega Leonardo Delmonte, vale per la darsena. Quello che fino ad un passato recente era un luogo di scambi, anche commerciali, e di incontro, è oggi per lunghi tratti abbandonato. La maggior parte dei cittadini ferraresi non intendono le vie fluviali come un luogo fruibile per la navigazione o per una semplice passeggiata lungo la banchina. In effetti vi sono alcuni ostacoli: primo fra tutti il fatto che esistono una marea di cancelli e recinzioni che dividono la banchina che costeggia il Volano, in tanti pezzetti isolati tra loro.

Proprio il recupero della darsena è uno degli obiettivi dell’associazione Basso Profilo che, ogni anno, promuove delle iniziative volte a far riscoprire ai cittadini ferraresi questo spazio quasi dimenticato. E’ nato così, nel 2015, il progetto ‘Smart Dock’ che, in sinergia con il progetto ‘Idrovia Ferrarese’, mira ad avviare un processo di coinvolgimento diretto della cittadinanza nella riscoperta del fiume e promuovere una rigenerazione urbana della Darsena S.Paolo. Spiega Delmonte, coordinatore del progetto, che “un bene comune non lo si può disegnare né si può imporre un vincolo di affezione con un area cittadina. Si possono però creare delle abitudini per far vedere con uno sguardo diverso ciò che si ha quotidianamente davanti agli occhi. Bisogna costruire un habitat nuovo con l’intento di abbattere quei muri invisibili che impediscono di vivere gli spazi pubblici come propri, e viceversa”.

Il progetto ‘Smart Dock’, costruito a partire dai concetti di consapevolezza, familiarità e sguardo laterale, si è sviluppato attraverso laboratori didattici con le scuole, una mostra realizzata in collaborazione con il circuito di biblioteche ferraresi e l’Archivio di Stato, tre mesi di musica jazz o elettronica in darsena, con un’ottima affluenza di pubblico, e l’esperimento dell‘Idropolitana’, promossa dall’associazione Fiumana e Asd Canoa, che ha organizzato delle suggestive gite in battello sui canali cittadini e il fiume Po fino alla laguna di Venezia. Come suggerisce Leonardo Delmonte “bisogna riappropriarsi di una visione sui tempi medi. Oggigiorno c’è troppa frenesia e i risultati si vogliono vedere subito. Bisogna calcare anche un po’ la mano, invitando i cittadini a non aver paura del nuovo”.

La rigenerazione urbana precede la riqualificazione. La parola d’ordine è ‘apertura alle novità’: ci vogliono occhi nuovi ed una nuova mentalità per costruire una nuova darsena.

(Foto di Leonardo Delmonte, Tonina Droghetti e Bruno Droghetti)

Evento musicale ‘Un fiume di musica’ foto di Bruno Droghetti
Laboratorio ‘Darsena bene comune’ foto di L.Delmonte
Evento musicale ‘Electro dock’ foto di L.Delmonte
Canoa Club foto di Tonina Droghetti
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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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