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Le gonne di un gruppo di suore, l’acqua di una fontana che si abbatte sul selciato, le tigri impagliate del Museo Naturalistico, un tarassaco spuntato fra le strade del centro, la mano di un bimbo che cerca di catturare le bolle di sapone. Sono le immagini che Alessio ha immortalato durante la maratona fotografica organizzata dall’associazione Feedback Video lo scorso sabato.
Vengono assegnati 12 temi e viene dato un tempo, 12 ore, per rappresentarli fotograficamente.
Lo spazio è quello della città e dei suoi dintorni.

Maratona Fotografica di Feedback. Foto di Emanuele Romanelli

Per Alessio non è stata solo una gara. Lui ha 24 anni e gli ultimi quattro li ha passati in un ufficio, ora vuole cambiare vita e ha deciso di emigrare in Canada, per cercare migliore fortuna. I suoi scatti sono l’ultimo sguardo alla sua città, i ricordi che porterà con sé dall’altra parte del mondo, un commiato dalla bellezza che c’è in ogni angolo di Ferrara.
“Ho iniziato a fare foto appena la scorsa estate – si schernisce – e lo scatto più bello che ho fatto oggi non c’entra col concorso, l’ho fatto per me: un operaio al lavoro sul Listone”.
Quando si inizia a guardarsi attorno con occhi attenti, si dischiude un mondo fatto di persone, gesti, dettagli che negli altri momenti della vita, in cui i luoghi sono meri attraversamenti e le persone casuali comparse, non c’è tempo di cogliere.

Maratona Fotografica di Feedback. Foto di Emanuele Romanelli.

La fotografia è un antidoto all’assuefazione, impone di rinnovare lo stupore per ciò a cui siamo abituati. E Ferrara è il soggetto ideale: un’anziana signora scavata dai segni della vita passata, ma rimasta vanitosa e civettuola. Tra le sue antiche mura accade sempre qualcosa di straniante e sorprendente, una luce, un momento di vita laddove non si immaginava.

Maratona Fotografica di Feedback. Foto di Emanuele Romanelli.

Sarà per questo che ultimamente l’attenzione di tanti fotografi si sta concentrando in città.
La maratona di Feedback ne ha portati 180, professionisti e amatori, che l’hanno immortalata in ogni angolo. Il filo conduttore di quest’anno era l’ambiente, che si collegava alla Maratona Fotografica Naturalistica che c’è stata il giorno successivo a Comacchio, all’interno di “Primavera Slow 2014”.
“E’ la prima volta che vengo – dice Elena di Bologna – grazie a questa iniziativa sto scoprendo una città che, sebbene vicina, non avevo mai visto. Che meraviglia gli orti nel cuore della città!”.
“Mi hanno portato degli amici, io sono argentino – racconta Augustin – sono rimasto incantato dalla quantità di biciclette”.
“Siamo venuti per passare una giornata in compagnia – spiega Matteo – siamo di Chioggia dove anche noi organizziamo una maratona, siete tutti invitati!”.

Il gruppo degli Igers Ferrara. Foto di @martinajrt.

Tanti anche i ferraresi, circa la metà dei partecipanti.
“Per noi che viviamo qui è paradossalmente più difficile trovare le cose originali perché le abbiamo sempre sotto gli occhi e non ci facciamo caso”, ammette Silvia. Ha partecipato assieme all’amica Lucia che dice “uno degli argomenti assegnati era “mangia a chilometro zero”, e dopo averci tanto pensato, mi è bastato guardarmi attorno e ho visto un’ape su un fiore: ecco la mia foto!”.
“Un altro argomento – aggiunge Ilaria – era “più fiori, meno cemento” ed ho fotografato il campo di colza che digrada verso i nuovi piloni di cemento della circonvallazione”.
I fotografi vedono quello che vediamo noi, ma si soffermano un attimo in più, prima che l’immagine si depositi da qualche parte nella memoria, la colgono e ce la restituiscono in modo che non si perda e ci faccia pensare: “ci passavo davanti tutti i giorni e non l’avevo notato, ma guarda che bello”.

Il Castello di Ferrara. Foto di @macluna429.

E’ quello che fanno quotidianamente anche gli Igers, gli Instagramers di Ferrara, ovvero coloro che usano l’applicazione per cellulare chiamata Instagram per condividere on line i loro scatti fatti con cellulare o tablet.
Sono un gruppo variabile ed eterogeneo di amatori e professionisti, che si riunisce attorno ad alcune iniziative virtuali, inviando per esempio foto su Facebook, oppure reali come la doppia mostra in corso al Punto Frau e all’Hotel Annunziata. Fino al 4 maggio si potranno vedere i loro cento sguardi sulla città, momenti pubblici come il Palio di cui sono media partner, ma anche occasioni uniche come la visita alle stanze normalmente chiuse del Castello. E’ una selezione delle migliori foto pubblicate da quando si sono costituiti nell’ottobre 2013.
“Stiamo anche programmando un’invasione digitale di Palazzo Schifanoia e del lapidario – annuncia Franco Colla, local manager degli Igers – luoghi in cui abitualmente non si possono fare fotografie, che noi restituiremo alla città attraverso i nostri scatti. Poi li pubblicheremo on line sulla pagina Facebook degli Instagramers Ferrara”.

La fotografa Serena Groppelli. Foto di Stefania Andreotti.

A Ferrara non ci sono solo i grandi progetti fotografici collettivi come la maratona o le mostre degli Igers. Quello di Serena Groppelli, fotografa piacentina, è infatti un progetto individuale, che l’ha portata a puntare il suo obiettivo su un altro luogo nel cuore della città di fronte al quale spesso si passa senza guardare, o peggio non volendo guardare perché fa male: il Teatro Verdi, nel suo stato di eterno abbandono o eterna ricostruzione, secondo come lo si vuole vedere.

Il teatro di Pontenure. Foto di Serena Groppelli.

Serena come nasce l’idea di fotografare teatri chiusi, tra cui anche il nostro Verdi?
“Faccio una premessa: “bazzico” il teatro da quando sono piccola e proprio in teatro ho iniziato a fotografare. Da un gioco è nata quindi una professione e adesso collaboro con Kairòs Magazine, una rivista web di fotografia di scena che ho contribuito a fondare.
Proprio in redazione abbiamo “scoperto” un censimento sui teatri chiusi d’Italia pubblicato on line (http://censimento.teatriaperti.it/it/censimento/) e poi diventato un libro, Teatri Negati, edito da Franco Angeli Editore.

Serena Groppelli e la performer Elisa Mucchi nel Teatro Verdi di Ferrara. Foto di Stefania Andreotti.

Il tema mi ha incuriosita parecchio ed è nata l’idea, non tanto di un semplice reportage sui luoghi, ma di qualcosa che i luoghi li faccia, anche se per poco, rivivere. Sono convinta che gli “spiriti” delle storie narrate nei teatri rimangano ad abitarli anche dopo la loro chiusura: perché non ritrarli insieme agli spazi teatrali?”.
Nei tuoi scatti all’interno dei teatri abbandonati, compaiono anche delle persone, chi sono?
“Solitamente si tratta di una o due figure per immagine. La “costante” è Gabriella Carrozza, un’attrice piacentina che mi seguirà in tutto il progetto e che rappresenta lo spirito del teatro.
Per ogni realtà locale invece cerco attori, performer, musicisti che abbiano voglia di affiancarla: qui a Ferrara ho avuto la fortuna di incontrare la performer Elisa Mucchi che molto gentilmente si è “prestata” al progetto”.
Qual è l’area geografica del tuo progetto?
“Il sogno è quello di coprire tutto il territorio nazionale. Ma, non trovando sovvenzioni, ho dovuto scegliere una zona limitata e ho deciso di partire dall’Emilia-Romagna, la mia regione.
Proprio con la Regione ho iniziato: a loro ho chiesto i primi contatti, l’elenco delle realtà coinvolte e un patrocinio non finanziato. Ai teatri già chiusi, inoltre, si sono aggiunti quelli danneggiati dal terremoto che sto cercando comunque di far rientrare nel percorso”.
Quanti teatri fotograferai?
“In Emilia-Romagna sono circa una trentina, fra teatri chiusi e terremotati
Attualmente ne ho scattati solo due: Pontenure (Pc) e Ferrara, ma ad aprile dovrebbero aggiungersi Correggio e Cento”.
Raccontaci della tua esperienza a Ferrara.
Ferrara è una delle città che conosco meno in Emilia-Romagna, quindi aveva per me il fascino dell’ignoto. Inoltre è stato il primo Comune a rispondere alle mie mail, con un entusiasmo e una disponibilità che non mi sarei aspettata e dei quali li ringrazio profondamente. Ho incontrato Natascia Frasson del Comune, il Direttore del Teatro e un gruppo di architetti che ha collaborato alla messa in sicurezza della struttura.
Il teatro è davvero splendido, anche nella versione “semi sventrata”, sarebbe bellissimo vederlo rivivere. Mi sembra inoltre che i ferraresi tengano molto a quello spazio e questo è stato ulteriormente motivante per me: è quasi commovente vedere come in molte realtà spazi dimenticati rimangano vivi nella memoria collettiva.
Come dicevo prima, ho davvero trovato un grande spirito di collaborazione e la trasferta si è trasformata in una serie di piacevolissimi incontri: peccato non potermi fermare di più e conoscere meglio le realtà e le persone incontrate!”.

Lusso con Burka. Foto di Mustafa Sabbagh.

Non ritrae la città, ma dialoga con lei la mostra di Mustafa Sabbagh “Burka moderni. Un dialogo inventato con Matisse”, fino al 4 maggio presso la Maria Livia Brunelli Home Gallery, al numero 3 di Corso Ercole I d’Este.
Come si legge nell’introduzione all’esposizione, l’artista italo-giordano, molto conosciuto in città e con un lungo e prestigioso passato come fotografo di moda, intende creare una connessione con la mostra di Matisse presso Palazzo dei Diamanti.

“Sono una ventina le opere realizzate appositamente per questa esposizione – spiega Maria Livia Brunelli, direttrice della galleria – una serie di fotografie di grande raffinatezza cui si accompagnano due video. Un dialogo che è anche lo specchio delle diverse epoche in cui vivono i due artisti: mentre Matisse, come reazione a un periodo carico di tensioni e guerre, cerca di distillare la bellezza dal reale, creando sinuose figure femminili, esaltandone colori e sensualità, Mustafa, dopo anni di lavoro nel patinato mondo della moda, mette maschere nere come la pece, plumbee come pneumatici, a uomini e donne”.
“Viviamo in un’epoca – spiega l’artista – in cui la società ci impone in continuazione delle maschere: ci si maschera per essere accettati, per la paura di scoprirsi. Quando uso la maschere non è altro che come protezione, quasi un espediente per riempire il retaggio cristiano della vergogna: e la maschera è come una dichiarazione, un ennesimo atto anti-moda, dall’immediato effetto gender-bender e liberatorio.
Bello, intelligente, ricco, accettato: nella società di oggi si impone la maschera ad ogni individuo, non gli si dà la libertà di essere se stesso fino in fondo. È una maschera falsificante, subdola, vigliacca. Il ruolo che conferisco alle mie maschere, invece, e l’uso che ne faccio, è assolutamente principale: è un atto di rifiuto per le maschere imposte, invisibili e mistificanti. Scelgo di immortalare delle opere d’arte per farci sentire più liberi. Scelgo di ritrarre maschere, per farci sentire ancora più individui”.

La fotografia ci salverà? Probabilmente no, ma ci cura. Fissa l’attenzione sulle persone, sui loro attimi di vita altrimenti perduti. “Ci fa sentire ancora più individui”. Lenisce lo strazio di un luogo della cultura abbandonato. Mantiene la memoria delle nostre radici. Ci restituisce la bellezza dimenticata della nostra città, aiuta a promuoverla e richiama tanti visitatori. Ferrara è bella dal vivo ed è anche fotogenica. Basta saperla guardare.

Link per approfondire i temi dell’articolo.

Feedback Video: http://feedbackvideo.it
Maratona fotografica di Chioggia: www.progettossigeno.it

Il sito di Serena Groppelli: www.serenagroppelli.com
La rivista web di fotografia Kairòs Magazine: www.kairosmagazine.it
Il sito di Maria Livia Brunelli Home Gallery: www.marialiviabrunelli.com
Il sito del fotografo Mustafa Sabbagh: www.mustafasabbagh.com

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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