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“Vedi quello là? Ieri a g’ò dà tarsent miliòn”. Eravamo sul marciapiede di testa della stazione Termini in attesa del rapido per Venezia, e naturalmente per Ferrara. L’amico Alfredo Santini, con la sua brava cartella di cuoio sotto braccio, sembrava in attesa d’incontrare un conoscente per scambiare due chiacchiere, possibilmente in dialetto. Amava il dialetto ferrarese Santini, una giornata nella capitale, dove si parla strascicato e le consonanti dure, come la ‘t’, diventano improbabili ‘d’, o peggio ancora, senti le ragazzine, anzi le regazzine, le bellissime pettorute romanine, urlare “come stai? Stai bane?”. Ecco, dopo una giornata di “bane”, dentro di te ripeti “bène, bène, bène” e vai tranquillo.

Santini cominciò a parlarmi della sua giornata, dei suoi incontri in Vaticano, dove aveva amicizie altolocate e dove – credo di non sbagliare – riceveva buoni consigli per condurre la banca verso intoccabili guadagni. In quel periodo Ferrara viveva dolcissimi momenti, tutto andava secondo i piani più ottimistici: il sindaco Soffritti passava da un successo all’altro, era riuscito a trovare i fondi per risanare le Mura, le mostre d’arte sotto la lungimirante direzione del maestro Farina erano diventate per l’intero movimento culturale internazionale termine di paragone da imitare, e attratto anche dalla vivacità della città era sbarcato il grande musicista Abbado. Città felice insomma.
Chi pagava? Dove non arrivava lo Stato, c’era sempre la Cassa di Risparmio, il cui presidente Santini era come la Madonna di Lourdes. Una improbabile esposizione di quadri d’autore dilettante? Santini firmava. Un romanzo d’amore stile romantico, dove i baci erano sempre languidi? Santini firmava. Cresceva così, accanto alla cultura seria, un muro di para-letteratura, troppo spesso appiccicosa. Alfredo Santini lo sapeva, ma a volte per convenienza politica, per educazione o per semplice gentilezza, faceva finta di niente. Fece diventare la banca la calda coscienza di Ferrara. Succedeva addirittura che offrisse incarichi ben pagati a persone la cui opera veniva dimenticata in solaio.
Ascoltare un dialogo in dialetto tra lui e il sindaco era piacevole, anche se non tutto era chiaro: Santini parlava con accento e vocaboli di un borgo molto lontano da quello in cui era nato Soffritti. Ricordo che quando tornai a Ferrara dal mio lungo peregrinare in Italia e in Europa e partecipai a una riunione di Giunta, rimasi stupito dal fatto che attorno al tavolone dell’assemblea il linguaggio ufficiale fosse il vernacolo di piazza Verdi o quello di Porta Mare.

Mi sembra, tuttavia, che queste considerazioni di tipo personalistico, soggettivo, non servano a spiegare quello che è successo in Italia e nel mondo, squassato da una tempesta imprevista, che si è rovesciata sui corpi, spesso ignudi, della povera gente, vecchia carne da macello come in guerra. I risparmiatori, quella fascia di cittadini che erano le colonne della società, sono stati spietatamente usati dai banchieri e si è arrivati perfino a stabilire che il povero cittadino frugale, per ritirare danaro messo da parte, deve dichiarare alla cassa della banca il motivo della richiesta; cioè i soldi non sono più suoi ma dell’istituto di credito.
Chissà che cosa direbbe oggi il mio professore di economia politica all’Università di Bologna, il grande Federico Caffè – il docente improvvisamente scomparso nel nulla molti anni fa quando cominciò a essere definitivamente superata l’economia della domanda e dell’offerta – lui così rigoroso e onesto, buttato lì in mezzo al branco di lupi pronti a scannare chiunque, come vuole il “mercato pilotato” dai banchieri-trafficanti di danaro e dagli uomini e di potere. Anche Santini era banchiere legato con filo di acciaio a una parte politica rafforzata dal credo religioso, ben cementato al dio capitale, ma certamente aveva la convinzione di essere nel giusto, umano e sovraumano.

D’altra parte questo è il mondo degli uomini padroni, chi si mette contro di loro è finito, viene schiacciato. Alle banche non interessa che in una città come Ferrara ci siano diverse migliaia di appartamenti vuoti e tante persone in cerca di un buco dove mangiare, dormire, fare l’amore, allevare i figli. Meglio la lotta selvaggia tra chi ha e chi non ha: la guerra è sempre lì che ci aspetta a braccia aperte. La città pare così precipitata in una crisi senza vie d’uscita: in centro stanno chiudendo i negozi uno dopo l’altro, chi può se ne va a Bologna o a Padova. Si, ha ragione chi afferma che la città sta morendo. Con buona pace di Alfredo, e anche nostra.

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Gian Pietro Testa


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di Piermaria Romani

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Caro lettore

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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