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di Giovanni Grappa

Ferrara città perfetta? Mica tanto. Piuttosto, città che si trascina, stanca ed estranea, distratta e smemorata. Così è dipinta in ‘CasaperCasa‘, l’ultimo romanzo di Sandro Abruzzese (Rubbettino Editore). Qui si esplora Ferrara, la provincia, il Delta, l’Emilia dei terremoti, il Polesine, in cerca di qualcosa di molto simile alla verità.
Il protagonista – Alessandro – è un insegnante in crisi nera per il fallimento del suo matrimonio, si è preso un anno sabbatico e vaga qua e là annotando quel che sente nel suo taccuino, su consiglio della psicologa. Tocca, annusa, ascolta, scruta, scrive e fotografa. La bocca ha un sapore amaro. Ne viene fuori un diario, un reportage ironico e malinconico, il documento di uno spirito stropicciato. Insieme all’amico ucraino – Giorgio Aggiustatutto – percorre strade, piazze, selciati e terre battute per scovare tracce di senso. Si aggira come una bestia ferita, vuole ritrovare la sua strada smarrita, visita il mondo che è in ogni luogo, e così si imbatte nei suoi spazi, nei suoi luoghi, nelle sue storie, nelle sue genti. Allora c’è gente che si ammazza, o che almeno ci prova. Ci sono gli zingari, i senzatetto col kebab fra i denti che rovistano nella spazzatura, i gitani autentici provvisti di tromba e fisarmonica ma sprovvisti di fascino esotico. C’è l’ex mercato ortofrutticolo con gli ambulanti arabi e i furgoni degli ucraini che consegnano cianfrusaglie ai connazionali. Capita il fallimento della banca cittadina, capitano gli affitti in nero. Capita lo striscione con la sagoma di un ragazzino ricciuto che si dice sia stato pestato dai poliziotti. C’è quel che rimane del Palazzo di vetro, c’è la Città del Fiume, c’è la zona Gad la stazione e il grattacielo, dall’alto del quale si può vedere che in fondo “è un pentagono venuto male, questa città”. Accadono i lavori in nero, i fuoribusta, lo sfruttamento dei nuovi arrivati, le imprese funebri che fanno gli sconticini.

Un momento di sollievo, le terre piane e d’acqua, i tramonti, l’ossigeno tormentato dell’Emilia paranoica dei Cccp, le luci della centrale elettrica, le donne sikh, il fascino di Micòl e dei Finzi Contini, cose belle e forse un po’ tristi, ma di nuovo la realtà – o la parte più rinsecchita di essa – prende il sopravvento, ed ecco persone vestite di verde che portano bandiere bianche con una specie di foglia di Marijuana al centro, sindaci contro certe unioni civili, tizi rasati con una bandiera nera e fiamma al centro. Ecco le barricate contro i profughi, tra barche e vongole. E poi, strani figuri che parlano di onore e libertà, a modo loro. Ecco il Quadrante Est e i suoi rifiuti tossici. Le farneticazioni dei vescovi, la gioia dell’imprenditore che viene a sapere del terremoto dell’Aquila, e poi i quartieri di container.
Bizzarra, la realtà! “Eh sì, proprio un bel siparietto”, potrebbe commentare Alessandro, “uno scherzetto tutto da ridere”.
Ma si può parlare davvero della realtà, in un libro? Come osserva candidamente Giorgio Aggiustatutto, “No solo libro parla di gente, pure vitadigente parladigente, no?”

Siamo al solito dilemma: scrivere, o vivere? Abruzzese prova a scrivere della vita, e lo fa con la forza di chi non ha voglia di aderire alle cose così come stanno, allora cammina tra i vicoli, guarda e parla, tra un sorriso ironico e il mal di stomaco, mezzo Céline mezzo Celati. Lotta tra pesantezza del mondo e leggerezza del pensiero che prova a liberarsi del pensiero, che fa fatica a dimenticare il passato. Perché il passato è difficile da dimenticare. Eppure c’è ancora chi ha il talento di dimenticare il 1943, e la sua notte.
Qualcuno, leggendo il bel libro di Abruzzese, potrebbe commentare: “Allora, se le cose per lui stanno così, perché non se ne torna da dove è venuto, in Irpinia, là sui monti, tra pecore e castagne?”.
A qualcun altro invece potrebbe venire una dannata voglia di uscire per strada e girare, magari casa per casa, cercando di dare forma e nome alle cose. Sforzandosi di aderire il meno possibile a quello che accade, a quello che c’è, a quello che capita, perché se è vero che l’uomo è una canaglia che si abitua a tutto, è anche possibile che sia giunto molto molto vicino al limite.

Domenica 16 dicembre Sandro Abruzzese sarà a Ferrara off ospite della rassegna ‘Tradire Bassani’

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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