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“Come immagini Ferrara tra 10 anni?” sulla base di questa domanda, Mario Zamorani (coordinatore del Gruppo “più Europa” di Ferrara) ha sollecitato un confronto che si è svolto in un paio di incontri al Palazzo Savonuzzi. Ho apprezzato l’idea di un “pensiero lungo”, perché solo con un pensiero lungo si può uscire dall’appiattimento sulla buona gestione, che è un prerequisito importante, ma non basta a scaldare il cuore.
Negli anni, nella nostra regione ogni area ha valorizzato vocazioni, baricentri dello sviluppo, le specializzazioni industriali e quelle culturali. Ciò ha contribuito a fare del sistema Emilia-Romagna un sistema eccellente. Ogni città ha una cifra distintiva e una vocazione.
Negli anni Settanta qualcuno aveva individuato per Ferrara la cifra della bellezza, come cifra importante su cui fare leva. Nel 1975 Andy Warhol era venuto ad inaugurare la sua mostra; Lola Bonora, allora lungimirante direttrice del Museo d’Arte Contemporanea, aveva avuto il merito di capire il valore di quel movimento newyorkese che stava trasformando l’arte moderna. E aveva inaugurato una stagione, che dura tutt’ora, intuendo la centralità che l’arte poteva avere per Ferrara.
Anni dopo il restauro delle mura e del sottomura ha offerto uno scenario unico, un paesaggio suggestivo che cambia con le stagioni e uno spazio di vita buona per tutti i cittadini. Nonostante questi punti di eccellenza non si è colta l’opportunità di fare della bellezza una cifra identitaria, una qualità diffusa della città. Ferrara, ha valorizzato i suoi beni culturali, ma non ha saputo costruire intorno a questi la valorizzazione della città, un’offerta più ricca per i turisti.
Ferrara è una bella città, che potrebbe offrire molte occasioni per impiegare il tempo. Senza un investimento diffuso negli spazi pubblici, inteso a creare luoghi di socialità Ferrara rischia di essere un dormitorio, un luogo di pace in cui sostiamo dopo avere abitato altrove. Quindi mi piacerebbe che la nuova Amministrazione lavorasse per fare di Ferrara la città della bellezza diffusa e non solo dell’arte. La bellezza è una parola ricca e multiforme che comprende la qualità della vita e che, proprio per questo, ne fa un volano economico e un elemento importante di marketing.
Mi piacerebbe una città in grado di proporre aree di vita buona: dai parchetti nelle zone centrali a quelli nelle zone periferiche, dagli spazi di gioco per i bambini a quelli per sportivi, da quelli per la socialità a quelli per la sosta. Non sono gli eventi episodici o i Festival che ci consentono di raggiungere questo obiettivo, ma la moltiplicazione dei luoghi quotidiani di socialità.
Per realizzare questo obiettivo è necessario innescare un processo di imitazione creativa che solleciti idee nuove e metta in moto energie e coinvolga una pluralità di soggetti privati. Si tratta di guardare oltre il cortile, di studiare i casi eccellenti, per adattarli al nostro contesto. Come ha sottolineato Patrizio Bianchi nel suo intervento, lo sforzo per attrarre nella nostra Università docenti e studenti, non passa solo dalla reputazione della ricerca, ma anche da un’offerta residenziale adeguata e da un clima culturale vivace, in sostanza dalle condizioni di contorno.
Si tratta di superare la nota di pigrizia e di quiete che segna il clima di Ferrara. Non basta una gestione onesta e responsabile, serve un orientamento alla progettualità che trasmetta a tutta la città un tono più dinamico e che solleciti tutti a fare la loro parte. Non da ultimo, una città che vuole attrarre turisti deve avere una comunicazione adeguata. Lo spot su Ferrara, che circola in qualche rete televisiva, è molto lontano dalla qualità necessaria.

1. CONTINUA [leggi la seconda puntata]

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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