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Nel 2017 la parola Femminismo è stata eletta parola dell’anno.  Oggi nel 2020 quando una donna vince un premio importante o viene eletta in una posizione pubblica di grande rilievo se ne esalta l’importanza, eppure pretendere di essere nominate con il nostro nome, donne, quando si tratta di essere descritte nella quotidianità, con la conseguente declinazione al femminile dei sostantivi e degli aggettivi che ne accompagnano la narrazione viene considerata una richiesta esagerata, inutile e pedante.

Il titolo dell’ultima enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” ne è un esempio lampante. Le donne rientrano nel neutro maschile fratelli e, con buona pace di tutte, guai a chiedere che venga integrato con Sorelle. Il neutro maschile fratelli ci deve accontentare dando per scontato che il sesso delle donne, e per sesso intendo proprio tutti gli organi genitali femminili, un corpo incarnato di donna, non abbia bisogno di essere nominato. Ma il sesso delle donne, che tutti ostentatamente dicono di conoscere a fondo, e certo tutti sono passati da lì per venire alla luce, è reale,  e se quello delle donne  non viene considerato tale,  allora ,“la realtà vissuta dalle donne a livello globale viene cancellata”(Rowiling) .

Oggi sappiamo che le parole influenzano la chimica dei nostri corpi, i neuroni del nostro cervello. Newberg e Waldman hanno raccontato la relazione tra le nostre parole e i nostri corpi e quanto queste abbiano implicazioni profonde sulla percezione che abbiamo della realtà. D’altronde gli antichi lo sapevano bene, i codici sono pieni della saggezza racchiusa in semplici, ma precise parole accostate, basti pensare ai mantra, ai salmi, agli inni etc. Per i cristiani  poi  “ il verbo si è fatto carne”, dunque, Il sapere, quello che muove la realtà, è un sapere che passa attraverso l’esperienza della carne, attraverso l’incarnazione, e non può prescindere da essa. Il sapere non è solamente una speculazione intellettuale e mentale, il sapere è anche viscerale.

Dunque, alla luce di tutto questo perché, poi, ai fatti, si continua a considerare superfluo nominare il sesso di cui  più della metà dell’umanità è costituita, perché lo fa anche il Papa? E’ evidente, l’intenzione del Papa era quella di abbracciare tutte e tutti con il suo fratelli, in particolare gli ultimi, i diseredati, gli immigrati etc (  badate bene tutti neutri maschili, categorie in cui l’umanità viene suddivisa  e di cui le donne diventano una ulteriore  sottocategoria)  ma il suo diniego, alla richiesta delle donne della chiesa di essere nominate nel titolo con l’aggiunta di Sorelle, il che avrebbe aperto anche alla aggiunta all’interno della riflessione di una declinazione al femminile quando occorreva,  mostra  quanto, il Papa, e certo non solo lui, non abbia compreso che gli ultimi degli ultimi molto spesso, anzi forse sempre, siano le donne e le bambine e che non nominandole non si vede. Adriana Guzman, giovane femminista Boliviana, lo spiega molto bene “Qual è l’uomo più sfruttato, più oppresso, più discriminato? Un uomo che è contadino, che non sa leggere, che non sa scrivere in castigliano, che non è andato a scuola, un omosessuale potrei dire, un orfano, un disabile. Ci sono tanti strati di oppressioni sopra un uomo, una sopra l’altra, però al di sotto di queste una donna, che è disabile, che è contadina, che non è andata a scuola, ha in più l’oppressione di essere una donna…”

Dunque, continuando la riflessione, questo Papa che con la sua “Laudato Sì” ha accolto molte delle sollecitazioni e riflessioni che venivano dai movimenti di base, che ha saputo coraggiosamente parlare di natura affiancandola a Dio, che parla di casa comune a prescindere dalle differenze, che è riuscito a spostare lo sguardo  dai mondi “primi” alle popolazioni indigene aprendo al grande sapere ancestrale, che si è posto alla guida di chi da decenni critica  il cinismo dei principi fondanti del capitalismo,  l’arroganza del colonialismo,  e  che si pone contro ogni forma di razzismo e di violenza,  anche nei confronti della natura stessa, non sembra riuscire a capire quanto la cultura patriarcale, di cui tutti e tutte siamo intrisi, ed è umanamente comprensibile,  succede ai più, e in particolare nella gerarchia ecclesiastica che ne è una espressione granitica, sia la radice di tutte le oppressioni e che senza un radicale e nuovo sguardo sul mondo, che passa strutturalmente  attraverso le parole che lo descrivono, non potranno essere estirpate.

Magnificamente la Guzman, in soli 10 minuti, con una acuta analisi che vi invito ad ascoltare (https://youtu.be/bJ7WnZXi_Lk ), dimostra che “Il patriarcato non è un sistema in più, non è il prodotto del capitalismo, non è una conseguenza della colonizzazione, non è una forma di razzismo. No, no, il patriarcato è IL SISTEMA che produce tutte le oppressioni, tutte le discriminazioni e tutte le violenze che vive l’umanità e la natura, ed è costruito storicamente sopra il corpo delle donne!”.

Se non si parte da li, dal riconoscere che la cancellazione del sesso delle donne nella narrazione quotidiana, è la radice dei mali che affliggono la contemporaneità a mio modo di vedere non sarà possibile nessun cambiamento radicale e tanto meno quello invocato dal Papa, e aggiungo: la cancellazione del sesso delle donne è un obiettivo preciso di chi si proclama per il progresso,  del potere tecnocratico da cui oggi sembra siamo governati ed è l’obiettivo dell’ideologia transumanista che dell’incarnazione e dei corpi ne  fa mercato, l’unico mercato ad  oggi in crescita capace dunque di tenere in vita il sistema capitalista. Dunque anche il Papa cade nel paradosso; se da un lato tutta la sua riflessione si costruisce sulla ricchezza delle differenze, sull’importanza  del dialogo umano, legato proprio agli sguardi, alle realtà dei corpi, alla connessione con altri organismi viventi, con il pianeta terra anch’esso vivente, e dunque in netto contrasto con il transumanesimo, nell’uso che ne fa della parola, cancella la differenza del dimorfismo sessuale , la primigenia differenza fondante l’identità dei singoli e facendo questo tradisce involontariamente l’obiettivo che si pone.

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di  50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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