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Stazioni sciistiche frequentate all’inverosimile, neanche fosse la pausa natalizia; movida sui navigli, sui litorali tirrenici e adriatici; picnic fuori porta e street food per le vie mertropolitane del gusto; gruppi e compagnie che popolano i plaid distesi sui prati, parchi stipati di festanti bambini; assalti in massa a supermercati e treni. E’ l’immagine di questo ultimi fine settimana, di questi ultimi giorni: così affollati, straripanti di vitalità, spostamenti, aggregazioni.
Una popolazione in fuga dal proprio abitato quotidiano perché l’energia degli uni accresce quella degli altri, e restare insieme riduce la percezione del pericolo, se distribuita su tutti.

Ci si convince che l’uno non rischia più dell’altro e se lo fa l’altro lo posso fare anch’io. Un movimento unitario che serve alla salvezza di tutti – si pensa – l’esatto contrario di ciò che la realtà attuale richiederebbe.
E qualsiasi considerazione, dimostrazione scientifica, ragionamento accreditato, suggerimento, restrizione normativa che turbi l’andamento di questo esodo, genera panico. Scriveva Elias Canetti in Massa e potere: “Nulla l’uomo teme più che essere toccato dall’ignoto”. Vogliamo vedere ciò che si protende dietro di noi: vogliamo conoscerlo o almeno classificarlo.
Dunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo. Di notte o in qualsiasi tenebra il timore suscitato dall’essere toccati inaspettatamente può crescere dal timore di essere toccato. Non si bada più a chi ‘ci sta addosso” perché siamo un corpo unico dove le differenze di prima si annullano davanti alla minaccia comune. Non esiste più un ‘contro gli altri’ ma ‘insieme agli altri’, anche sotto il profilo negativo, laddove invece ci sarebbe necessità di non avvicinare, di porre distanza, di isolare per il bene comune. Si vive tutti nell’interminabile uguale attesa e speranza dove non esistono più i vincoli di prima.

Questa corsa all’evasione in preda al desiderio di conquistare, insieme, spazi di leggerezza e spensieratezza, fa pensare al racconto di Edgar Alla Poe del 1842, la maschera rossa’ i cui protagonisti sono il principe Prospero e i suoi cortigiani, un migliaio di dame e cavalieri che egli convoca in una delle sue magnificenti abbazie fortificate per creare un clima di gaiezza, edonismo e sicurezza, lontani dalla peste che imperversava fuori. Buffoni, ballerine, musicisti allietano i presenti, immersi nella totale bellezza dei saloni, degli addobbi e delle prelibatezze. Nel corso del grande ballo mascherato indetto dal principe, scopriranno la presenza di una figura misteriosa e spettrale con mantello, sotto il quale non esiste nessuna forma tangibile, e che al rintocco della mezzanotte decreterà la fine di tutti. La fuga dalla realtà e l’abbandonarsi alla inconsapevole leggerezza non erano serviti a nulla.

Non sentiamoci invulnerabili e riappropriamoci della consapevolezza, traendo energia da una coesione fatta di buonsenso e volontà di percorrere insieme la direzione giusta, fatta anche di sacrificio e abbandono delle modalità di convivenza del ‘prima’, accompagnati da un pensiero di speranza che José Saramago suggerisce nel suo romanzo Cecità: “ Un commentatore televisivo ebbe l’ingegnosità di trovare la metafora giusta quando paragonò l’epidemia, o quello che fosse, a una freccia scagliata verso l’alto, che, nel raggiungere il culmine dell’ascensione, si mantiene per un momento come sospesa, e poi comincia a descrivere l’obbligatoria curva discendente che, a Dio piacendo… poi ci penserà la gravità ad accelerare fino alla scomparsa del terribile incubo che ci tormenta.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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