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Tesserarsi a una società per poter fare sport a livello agonistico, andare all’estero per un viaggio studio, per un’esperienza di tirocinio o anche solamente per passare le vacanze, partecipare a un concorso pubblico: sono tutte cose che la maggior parte degli italiani considera normali. Ma non è così per tutti gli italiani, per tanti ragazzi che sono nati in Italia e per i loro genitori che da anni vivono e lavorano nel nostro paese, ognuna di queste cose è una concessione. È una piccola dicitura a fare la differenza: “cittadinanza italiana” sulla propria carta d’identità. Di cosa comportino nella vita di ogni giorno parole come cittadini e cittadinanza, identità, cultura e seconde generazioni, si è parlato ieri mattina alla Sala Boldini nell’incontro “Vivo in Italia, l’Italia sono anch’io. Cittadini d’Italia, cittadini del mondo”, organizzato da Occhio ai media – Cittadini del mondo, Amnesty International, Arci, Cgil, Uil, Centro Donna Giustizia, Libera, Centro Intercultura, Camelot, Viale K, con il patrocinio del Comune di Ferrara. In sala ad ascoltare qualche adulto e undici classi degli istituti superiori di Ferrara, di Argenta e di Portomaggiore.

occhio ai media locandina

Attraverso le videointerviste e le testimonianze dal vivo dei ragazzi di Occhio ai Media sono emerse le esperienze reali di una generazione sospesa. Sospesa perché deve affrontare ogni giorno, come ha sottolineato Tahar Lamri – scrittore e giornalista, moderatore della mattinata – “una negoziazione continua” fra la propria cultura d’origine e quella in cui sono cresciuti e che incontrano ogni giorno “varcando la soglia di casa”. E sospesa anche perché quasi ogni aspetto della vita è condizionato da una condizione di precarietà: non sapere se si potrà andare all’estero con i propri compagni perché forse i documenti necessari non arriveranno in tempo; studiare giurisprudenza senza sapere se si potrà intraprendere una carriera da magistrato perché non si è ancora cittadini, nonostante siano più gli anni trascorsi in Italia che quelli passati nel paese d’origine; non poter votare o firmare per leggi di iniziativa popolare anche se si è nati qui, mentre i cittadini italiani all’estero lo possono fare, anche se non sono mai stati in Italia.

Una situazione cui la nuova legge sulla cittadinanza, approvata alla Camera e da allora ferma al Senato, tenta di porre argine. Negli ultimi anni “più di un milione di ragazzi, figli di immigrati, sono cresciuti come stranieri nel nostro e nel loro paese”, ha affermato in uno dei video l’ex ministro per l’integrazione Cecile Kyenge: non è solo un’ingiustizia verso questi ragazzi, ma anche uno spreco perché “si investe per anni nella loro formazione” senza poi dar loro un motivo per restare. E i problemi non fanno che aumentare quando si cresce e si entra nel mondo del lavoro: secondo le cifre date ieri mattina dal segretario regionale della Cgil Emilia Romagna Mirto Bassoli, mediamente c’è “uno scarto retributivo del 10-15%” fra i lavoratori stranieri e quelli italiani e “per le donne straniere la cifra raddoppia”. Una situazione confermata da Sead Dobreva, attivista dei diritti Rom e delegato sindacale, “essere cittadini italiani o soggiornanti stranieri cambia sul luogo di lavoro”: questi ultimi non possono permettersi di essere licenziati perché “ogni anno devono rinnovare il permesso di soggiorno”, si crea così una divisione fra i lavoratori perché gli stranieri sono costretti a lavorare di più a condizioni peggiori, mentre gli italiani hanno il problema che così si abbassa il livello delle condizioni di lavoro anche per loro.

Oggi se si è nati e si è sempre vissuto in Italia si può fare richiesta di cittadinanza al raggiungimento della maggiore età, oppure si può fare domanda se si è maggiorenni e si vive qui da più dieci anni. I minori acquistano la cittadinanza insieme ai genitori, ma se al momento del riconoscimento hanno già compiuto 18 anni, devono fare essi stessi richiesta.
Il testo approvato alla Camera, ha spiegato ieri Andrea Ronchi – avvocato della Cgil Emilia Romagna – cambia la modalità di concessione: dallo ‘ius sanguinis’ si passa al cosidetto ‘ius soli temperato’ e allo ‘ius culturae’. In altre parole la cittadinanza viene concessa nel primo caso alla nascita “ai figli di stranieri di cui almeno uno dei genitori sia in possesso della carta verde, cioè abbia un lavoro stabile e goda di discrete possibilità economiche”, nel secondo caso a chi è nato in Italia e ha terminato “un ciclo di studi di cinque anni”. Secondo Ronchi “questo testo è sicuramente un passo avanti, ma ci sono ampi margini di miglioramento” perché in questo modo si creano disparità e non si premia il merito: “se figlio di un portatore di handicap che non può lavorare e quindi non può avere la carta verde, non ho diritto ad avere la cittadinanza”, si è chiesto l’avvocato, oppure “si premia chi viene promosso nonostante abbia scaldato il banco per cinque anni, piuttosto che un ragazzo costretto ad andare a lavorare a 15 o 16 anni per necessità economiche”.

Un momento dell'incontro
Un momento dell’incontro

Secondo Filippo Miraglia “gran parte della popolazione italiana pensa che chi nasce in Italia sia cittadino italiano senza dover aspettare 18 anni. Purtroppo oggi l’argomento è più spinoso rispetto ad anche solo poco tempo fa e i partiti lo usano in modo strumentale, perciò abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per far approvare questa legge di riforma sul diritto di cittadinanza”.

È Ascanio Celestini, intervistato dai ragazzi mentre era a Ferrara con il suo ultimo lavoro “Laika”, a riassumere bene la situazione, citando un uomo di colore che lo ha avvicinato al termine di uno spettacolo: “Io sono arrivato qui anni fa da adulto e mi sento africano. Mio figlio è nato qui e si sente italiano, non africano, però è nero”: questo lo rende meno italiano? La verità è che ognuno di noi, anche se non è costretto a farci i conti ogni giorno come devono fare invece tanti di questi ragazzi, appartiene contemporaneamente a diverse comunità e goni identità ha diverse componenti e sfaccettature. Ci sono tanti modi diversi di essere e sentirsi cittadino, forse tanti quanti sono i cittadini del nostro paese. Sono le nostre azioni e i nostri comportamenti quotidiani a farci diventare cittadini e soprattutto, nel bene e nel male, non può essere un pezzo di carta a dirci chi siamo.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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