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Non ho vissuto gli anni ’60-’70, purtroppo. Lo dico a malincuore perchè dai racconti dei miei genitori alcune esperienze sembravano magiche. I ragazzi ti invitavano a ballare i lenti nei locali notturni, per fare l’amore si cercavano posti nascosti e quei luoghi diventavano segreti preziosi da custodire gelosamente, i giovani lottavano per i lori diritti, uniti. Tante cose erano per me migliori un tempo, per quanto non le abbia vissute in prima persona, ma le conosca solo per esperienze mediate e racconti tramandati. Eppure vi è un punto su cui non riesco a prendere posizione: non so se i rapporti tra genitori e figli fossero migliori un tempo od oggi.
Prima estrema rigiditá, ora assoluta libertá.
Non vi era molto dialogo tra una generazione e l’altra; vi era piuttosto un rapporto basato sul rispetto dei figli e l’autoritá dei genitori. Ai giovani venivano sicuramente imposte più limitazioni: orari di rientro serale molto più stretti, relazioni amorose che non dovevano manifestarsi all’interno della casa dei genitori, minor quantitá di denaro da spendere a proprio piacere. I limiti erano maggiori, le regole erano più ferree, ma i giovani conoscevano il significato della parola “rispetto”. Oggi la situazione si è completamente rovesciata.
Quando all’ora di pranzo mi affaccio alla finestra vedo ragazzini di 13/14 anni che, usciti da scuola, parlano inserendo parolacce e bestemmie in ogni frase. Sugli autobus è all’ordine del giorno imbattersi in gruppi di ragazzini, spesso femmine, che parlano (o meglio urlano) noncuranti della gente intorno a loro; lanciare un’occhiata d’intesa o chiedere di abbassare la voce non è mai servito ad altro che a ricevere insulti in risposta.
Un pomeriggio mi è capitato di assistere ad una scena sconcertante: in un negozio del centro cittadino: una ragazzina insisteva con la madre affinchè le comprasse una costosissima borsa firmata MiuMiu. Non sembrava minimamente importarle che l’accessorio costasse un occhio della testa, voleva solo averlo, a tutti i costi. Ricordo che mi colpirono, da un lato, l’arroganza dell’adolescente e, dall’altro, la rassegnazione di una madre che dopo inutili tentativi di dissuasione, cedeva alle richieste della figlia anzichè rimproverarla per la maleducazione mostrata.
L’impressione che oggi ho costantemente è quella di aver di fronte giovani che hanno acquistato potere e genitori che si sono “rammolliti”. Piuttosto che litigare, la “danno sempre vinta” ai propri figli. Ora, io non sono ancora madre, molte cose non posso capirle, ma basandomi sul rapporto che ho con i miei genitori, mi rendo conto che la mia è una fortuna che pochi hanno. Li ho sempre visti entrambi come le mie guide, i miei insegnanti, i miei modelli di riferimento, ma anche come due amici, due confidenti, due persone a cui poter sempre dire tutto, su cui poter sempre fare affidamento.
Ma il dialogo è il grande assente dei nostri giorni. Le due generazioni anzichè confrontarsi e darsi consigli, limitano le conversazioni all’essenziale. I ragazzi vogliono, anzi pretendono, sempre più libertá. Questo impulso nasce con l’adolescenza, quando è il gruppo dei pari a diventare il modello identificativo principale, mentre il genitore inizia ad essere messo in discussione. Ma se manca il dialogo la colpa deve essere distribuita ad entrambe le parti?
Credo che ogni caso vada analizzato singolarmente. Ho amici che, nonostante non abbiano avuto una infanzia felice a causa della grande assenza dei genitori, sono persone con solidi principi; altri che, al contrario, malgrado gli infiniti sforzi dei genitori, hanno preso strade pericolose, prendendo a modello la gente sbagliata.
Affinchè ci sia un buon rapporto tra le due generazioni devono esserci fiducia e rispetto reciproci. Non sono una psicologa e non sono un genitore, ma sono una figlia e i consigli che posso dare dipendono solo dalla mia esperienza in quanto tale. Mi sono sempre fidata di entrambi i miei genitori, ho sempre raccontato loro tutto, le cose belle, quelle brutte, quelle che mi facevano paura e quelle su cui ero insicura, l’ho sempre fatto perchè mi fido del loro parere, perchè so che hanno molti anni d’esperienza alle spalle e perchè loro molte cose le hanno giá vissute. Dal canto loro sono sempre stati degli ottimi ascoltatori, tolleranti, comprensivi. Grazie al dialogo non ho mai avuto bisogno di nasconder loro nulla, ogni problema è sempre stato affrontato: a volte facilmente, altre con pianti e grida, ma è stato risolto, ed è questo ciò che conta.
Quel che noto oggi non tanto nei miei coetanei, quanto nella nuova generazione del 2000, sono una grande maleducazione ed una profonda arroganza; mentre l’assenza è un difetto molto diffuso tra i genitori.
Viviamo in una realtá in cui i valori fondamentali perdono sempre più di importanza, tra questi la famiglia e il matrimonio. Sempre meno coppie si sposano e tra queste sono poche quelle durature. I figli di divorziati sono in costante aumento: spesso i figli nascono quando i genitori sono addirittura giá separati e diventa sempre più difficile insegnare loro quando non si trovano punti d’accordo comuni. Inoltre gli adulti tendono a concentrarsi molto sulla carriera, lasciando che i bambini trascorrano la maggior parte della giornata con baby sitter o i nonni.
Sono due generazioni, quella dei genitori e quella dei figli, che sempre più si allontano l’una dall’altra, viaggiando su binari divergenti, in mondi diversi dove prevale l’egoismo individuale. Per rincorrere i propri sogni, le mete ancora non raggiunte, spesso gli adulti vedono gli anni dedicati ai figli come una rinuncia parziale alla propria vita e cercano di recuperarli sacrificando il rapporto con questi. Ogni rinuncia fatta per i propri figli non dovrebbe essere considerata come tale, ma come il piacere piu gratificante che la vita ti possa offrire.

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Silvia Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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