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“Con i piedi nel fango”: un titolo eloquente quello del libro-intervista sulla politica che Gianrico Carofiglio presenterà domani (venerdì 29 alle 15,30 a Ibs Ferrara). “La politica è fare i conti con le cose come sono davvero: cioè spesso non belle e non pulite – è scritto nella presentazione del volume -.  Bisogna entrare nel fango, a volte, per aiutare gli altri a uscirne. Ma tenendo sempre lo sguardo verso l’orizzonte delle regole, dei valori, delle buone ragioni”.
E’ l’occasione per ascoltare un intellettuale lucido, appassionato e tagliente, noto al grande pubblico soprattutto per i suoi splendidi romanzi (fra i quali la serie dell’avvocato Guerrieri e quella del maresciallo Fenoglio). Ma i numerosi e illuminanti saggi di cui, pure, è autore, forniscono chiavi di comprensione e preziosi elementi di consapevolezza relativi al mondo in cui viviamo. Il suo è uno sguardo che tiene insieme gli aspetti antropologici e quelli politici, investigando il carattere e le propensioni individuali, nonché vizi, vezzi e (spesso perdute) virtù della sfera pubblica.
Una perla che fa storia a sé nella ricca produzione dell’autore è, poi, “Passeggeri notturni”, raccolta di brevi e folgoranti considerazioni sul vivere, che traggono spunto da fatti reali, talvolta impastati in oniriche ispirazioni.

“Con i piedi nel fango” è edito da GruppoAbele e riporta l’articolata e appassionante conversazione fra l’autore e il giornalista Jacopo Rosatelli. L’incontro di domani è organizzato dal dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, grazie all’inesausto prodigarsi del professor Andrea Pugiotto, costituzionalista, che con Carofiglio dialogherà. Lo scrittore, che è stato magistrato e senatore,  ha accettato di anticipare a Ferraraitalia alcune delle riflessioni che faranno da filo conduttore alla conversazione, che sarà accompagnata dalle letture del Centro teatro universitario di Ferrara.

La politica è spesso inganno. Nel libro lei sostiene che i meccanismi comunicativi che stanno dietro a pratiche di manipolazione funzionali all’acquisizione del consenso debbano essere conosciuti e padroneggiati pure dal politico onesto. Vuol chiarire questo passaggio?
Sostengo che il politico onesto debba conoscere le tecniche di manipolazione per potersene difendere, ma escludo che debba o possa usarle perché la manipolazione non è mai etica. Ritengo invece che la politica onesta debba impadronirsi di efficaci strumenti di comunicazione che tengano conto, in una pratica etica, del fatto che spesso le scelte politiche sono emotive e non razionali.

Afferma, però, che in alcuni casi la menzogna o la reticenza siano necessari. In quali?
Mi riferisco perlopiù all’omissione: ogniqualvolta sia indispensabile per un interesse superiore (che non può mai essere quello personale del politico in questione) e non implichi la manipolazione dei destinatari.

Per quanto concerne le abilità strategiche, lei sostiene che il politico onesto quando non può sottrarsi al confronto con il mascalzone (o l’imbecille) deve essere capace di neutralizzarne le mosse scorrette. Come?
Prima di tutto bisogna conoscere quelle mosse, come dicevamo prima. Poi una buona tecnica, fra le tante, è rendere manifesto il tentativo di manipolazione, svelare l’inganno. È uno dei modi più semplici ed efficaci per neutralizzarlo.

Scardinando un luogo comune, afferma che al politico consapevole conviene dichiarare i propri limiti e i propri errori. Perché?
Perché gli errori rendono amabili, diceva Goethe. Intendeva che gli errori (quelli che si è capaci di ammettere, naturalmente) sono un segno della nostra umanità. Inoltre ammettere gli errori ci consente di apprendere da essi e dunque progredire.

Giusto! Ma un conto sono gli errori, ben altro invece sono spregiudicatezza e malafede. In questo senso, è d’accordo con Luciano Violante, al quale fa riferimento nel libro, quando ci segnala che in Italia i confini fra illegalità e politica sono stati spesso evanescenti?
Spesso, sì. Purtroppo.

Sullo sfondo il tema centrale, quindi, è ancora una volta verità e menzogna. Al riguardo, principalmente a causa dei sistemi di diffusione delle informazioni tipici dei social network, la possibilità di smentire le false notizie è pesantemente ostacolata, in conseguenza del meccanismo virale di propagazione delle cosiddette ‘fake news’, che di fatto rende impossibile ripercorrere tutti i canali di propagazione. E’ d’accordo?
Parzialmente. È vero che la fondamentale differenza sta nel meccanismo – e dunque nella velocità – di propagazione. Non direi però che sia sempre inibito ogni serio tentativo di rettifica.

A proposito di verità, nel testo lei argutamente segnala tre suggestive rimodulazioni anagrammate del termine: ‘relativa’, ‘rivelata’, ‘evitarla’. Io personalmente  sto con Popper, Pirandello e Zagrebelsky e considero la verità frutto di una ricerca inesausta, condotta con la consapevolezza di non poterne mai pienamente comprendere l’essenza e dunque sempre gravata dal dubbio di un possibile fraintendimento… Lei, che prima di essere scrittore è stato giudice, che rapporto ha con la verità?
Amichevole ma circospetto. L’idea di fondo è che buona parte di quello che chiamiamo verità dipenda dai punti di vista. Bisogna dunque accettare che anche nel nostro punto di vista (che di regola, per ovvie ragioni di miopia, ci sembra il migliore) ci siano profili difettosi e veri e propri errori. Bisogna imparare a guardare le cose dal punto di vista dei nostri interlocutori e anche dei nostri avversari. Questo ci rende più tolleranti e più capaci di cogliere la complessità dell’oggetto: la verità, appunto.

Lei per cinque anni è stato Senatore, eletto nelle liste del Pd. Pensa in futuro di potersi ancora direttamente impegnare in politica?
Non saprei. Quella è un’esperienza passata. Se sorgessero le condizioni, se avessi l’impressione di potere essere davvero utile ci penserei.

Infine, transitando dall’analisi all’attualità, che giudizio dà dell’attuale governo e che futuro immagina per il nostro Paese?
Molto negativo. Una miscela pericolosa di incompetenza, demagogia e arrivismi personali. Immagino – mi auguro – un futuro in cui il nostro Paese sia sorretto da mani ben più esperte. Mani guidate da un senso dell’etica della democrazia che vedo quasi del tutto assente in chi sta governando in questo non fortunato periodo.

 

Per saperne di più, si può leggere anche la cronaca dell’incontro con l’autore in libreria “Gianrico Carofiglio a Ferrara” [fai clic sul titolo per andare alla pagina linkata]

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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Francesco Monini
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