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Il giardino può essere interpretato come un mezzo per regolare il caos, quindi il titolo italiano del secondo film diretto da Alan Rickman, “A Little Chaos” (2014) non è letterale, ma corretta per un film in cui si parla anche di giardini. “Le regole del caos” non è un documentario, storia e invenzione si mescolano in un racconto che vede come protagonisti André le Notre (Matthias Schoenaerts), maestro e creatore dei grandi giardini formali francesi e Sabine de Barra (Kate Winslet), giardiniera, che in questo mestiere, ha trovato un modo per essere indipendente e sopravvivere alle tragedie della sua vita. Sabine partecipa a un colloquio con il maestro per collaborare alla realizzazione di una parte del parco di Versailles e la tensione iniziale fra le nuove idee della giovane donna e la rigidità dell’impostazione del maestro, saranno il punto di partenza della storia. André le Notre (1613-1700) è stato un genio dell’arte dei giardini, l’artefice del grande sogno di Luigi XIV, il Re Sole (1638-1715) di affidare proprio ai giardini la forma concreta dell’idea di potere assoluto. I parchi da lui realizzati sono dei capolavori di ingegneria idraulica, di scenografia, di invenzioni estetiche talmente innovative per i tempi e anche per noi contemporanei che, non capendole, ci limitiamo spesso a considerare il suo immenso lavoro come la realizzazione di enormi aiuole alternate a giganteschi specchi d’acqua, degno contorno di antipatici palazzi dove la corte francese si sollazzava, tra intrighi e pettegolezzi, a scapito del popolo. Giardini di potere e per il potere, in cui doveva essere ribadito il concetto che la sovranità del re superava la dimensione umana, il re era al di sopra della natura e poteva controllare il caos attraverso regole, geometrie, macchine incredibili, per raggiungere un controllo in terra assoluto e totale. Il cinema ci ha già regalato un cospicuo repertorio di film dedicati alla grande stagione del giardino alla francese, da cui quest’ultimo trae più di uno spunto. Il primo che si ricorda è lo spettacolare “Vatel” (2000) di Roland Joffé con cui condivide alcuni personaggi storici e al quale si avvicina anche nella prassi, tutta cinematografica, di ricreare un luogo esistente attraverso un puzzle di altri luoghi, in questo caso, Rickman, ricostruisce la Francia senza spostarsi dall’Inghilterra e sfruttando parecchie locations viste nel “Barry Lindon” di Kubrick. La figura di Sabine ricorda la protagonista femminile di “Ridicule” (1996) Mathilde de Bellegarde, giovane scienziata, figlia di un marchese che ai balli di corte preferiva i suoi esperimenti con le piante e le immersioni con scafandri di sua invenzione. Il bellissimo film di Leconte ci porta avanti di un secolo, mostrandoci la decadenza dello stato assoluto in una Versailles, schiava delle sue regole e prossima al caos della Rivoluzione.
Il sogno di Sabine sembra quello di andare contro le regole, ma nel suo incessante lavoro di giardiniera, nella sua fatica che le rovina le mani rendendole dure e callose, così diverse da quelle della dame di corte, c’è la stessa illusa presunzione del re, di creare una nuova natura migliore di quella spontanea, cambia solo il gusto e la forma. Una sequenza molto bella ci mostra Sabine lottare contro una massa incredibile di rovi che avvolge il tronco di un albero dalla forma scultorea. Alla fine riuscirà a liberarlo mostrandone la bellezza nascosta, ma sappiamo che un po’ di anni di abbandono, riporteranno i rovi a fare il loro mestiere. La natura spontanea diventa giardino solo quando ne accettiamo completamente le regole, è una scelta, la conseguenza di un percorso culturale, non il frutto dell’incuria. Sabine e il re ne sono consapevoli e ne è consapevole anche il regista, che li fa incontrare in uno spazio a parte, un recinto all’interno del grande parco reale, dove un altro dei giardinieri del re, Jean Baptiste de la Quintinie (1626-1688), coltiva il suo vivaio. In questa oasi separata dal mondo, gli opposti naturali e sociali si incontrano: uomo e donna, sovrano e popolo, abbattono le regole per trovarsi uguali, esseri umani uniti dallo stesso sogno.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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