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Il Coordinamento Nazionale Docenti delle Discipline dei Diritti Umani, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sessuale nei conflitti, che si celebra il 19 giugno, vuole porre tutta l’attenzione possibile su una tematica disumana che è quella dello stupro come tattica di guerra, da sempre largamente impiegato per marchiare e offendere i popoli conquistati. La storia ci insegna che la violenza sessuale in guerra è, purtroppo, vecchia come il mondo, basti pensare al “Ratto delle Sabine” della “Roma caput mundi”, agli efferati stupri dei conquistadores in epoca coloniale, per i quali lo stupro era un allettante e legittimo bottino di guerra, fino ad arrivare ai nostri giorni dove nelle terre curde occupate dall’Isis, la stragrande maggioranza delle vittime sono donne e bambine, possedute brutalmente allo scopo di raggiungere, con la violenza, obiettivi militari e politici.
Di fronte a tale disumanità, equamente distribuita in vaste aree del mondo, le Nazioni Unite nel 2008 istituirono la “Risoluzione 1820” la quale mirava a porre fine, punendo i “criminali di guerra”, alla violenza nei conflitti in quanto quest’ultima, oltre al male in sé che già rappresentava, ostacolava il ripristino della Pace. Fu, inoltre, riconosciuto in quella occasione che la violenza sessuale nei conflitti costituisce Crimine di Guerra, Crimine contro l’Umanità e Genocidio. Infatti, violare le donne dell’esercito nemico vuol dire estirpare le radici di un paese, quindi estinguerlo, poiché la donna è il simbolo della vita, la donna è colei che accoglie la vita nel suo grembo e garantisce la discendenza della comunità. Ne deriva che appropriarsi fisicamente della donna, attraverso lo stupro, e determinare una gravidanza forzata, indebolisce il nemico e lo prepara alla sconfitta. L’esercito della morte non è mosso da nessuna logica. L’esercito della morte non è giustificato da nessun provocatorio, triste e sintetico slogan secondo il quale “Tutto è lecito in guerra!”. Assenza di logica, assenza di cultura, solo principi anti-vita e anti-uomo, come razzismo e smisurato senso di onnipotenza, solo iper-virilità da usare come arma di guerra. Da tutto questo è mosso l’esercito della morte!
Per riportare il dramma della violenza sessuale nei conflitti alla storia recente, il CNDDU vuole ricordare che nel 1994 in Ruanda , durante il genocidio durato tre mesi, furono stuprate tra le 100.000 e le 250.000 donne (impossibile stabilire tra queste il numero esatto delle donne-bambine). Le agenzie delle Nazioni Unite calcolano che più di 60.000 donne siano state stuprate durante la guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40.000 in Liberia (1989-2003), fino a 60.000 nella ex-Jugoslavia, in soli tre anni (1992-1995), e almeno 200.000 nella Repubblica Democratica del Congo, durante gli ultimi 12 anni di guerra.
Un numero davvero impressionate. Anzi no, non parliamo di numeri: una vastità di anime lacerate per sempre dalla malvagità dell’uomo che in guerra raggiunge, talvolta, livelli di crudeltà inimmaginabili. Il periodo post-bellico è anche peggiore, è il tempo della metabolizzazione del male, è il male in corso: infezioni trasmesse per via sessuale, emarginazione per infamia, suicidi, traumi psichici permanenti. La maggior parte dei paesi offesi e violati non dispongono di strutture adeguate per risarcire e per curare, e poi per gestire le enormi difficoltà che seguono agli stupri in guerra. Ferisce e spaventa il fatto che lo stupro di guerra, infame pratica che si caratterizza per la sua sistematicità, è dolorosamente trasversale ai più diversi contesti geografici, storici e culturali. Nessun paese è integro, sotto questo punto di vista. Nessun paese può avanzare tesi giustificative di arretratezza culturale, poiché il male corre veloce, e da sempre, per tutti i meridiani e i paralleli. Ferisce e spaventa il fatto che per quanto lo stupro in guerra sia stato riconosciuto, negato, condannato, incriminato a livello internazionale dall’Onu, nella pratica sfugga ancora a un controllo accurato che permetta di individuare e punire i criminali. L’individuazione dei responsabili dello stupro nei conflitti mette in moto, infatti, una macchina burocratica lenta e complessa che, talvolta, anche di fronte a prove conclamate sembra incepparsi: immunità o impunità? Solo il diritto potrà far luce e giustizia, come sempre. Se nessuno gli farà sgambetti.
Il CNDDU, alla luce dei fatti esposti di cui il mondo è a conoscenza attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite (Ris.1820 nel 2008; Ris. 1888 nel 2009; Ris. 1960 nel 2010), vuole affermare con forza i Diritti Umani in tempo di guerra ovvero la protezione delle persone civili in tempo di guerra, e vuole affermare con forza la protezione, in questo caso, della donna in tempo di guerra, perché nessuna logica perversa che contamini i più atroci conflitti possa tollerare e lasciare impunita la Guerra sul Corpo della Donna.
Per tali ragioni, inviamo un appello accorato a tutti i docenti della Scuola Superiore di I e II grado affinché ci sia maggiore informazione sulla tematica da noi proposta e che sarà celebrata il 19 giugno. Come sempre, da difensori e garanti dei Diritti Umani, ci sentiamo di suggerire piccole attività simboliche per promuovere negli studenti, sentimenti di comprensione, solidarietà e rispetto, in questo caso, verso le donne vittime di abusi sessuali nei paesi devastati dalla guerra. Una idea efficace e poco impegnativa potrebbe essere quella di fare dei parallelismi, studiando la storia, tra le donne del passato e quelle di cui ora abbiamo parlato che non figurano, ovviamente, nei libri di testo. Oppure ogni 8 marzo si potrebbe allargare il raggio della discussione, senza rimanere fossilizzati sulla storia, se pur drammatica, della vecchia fabbrica di New York in cui morirono più di cento lavoratrici. O ancora si potrebbe fare un ponte tra Femminicidio, tema così tristemente attuale in questo periodo, e il “Femminicidio delle donne violentate nei conflitti”: perché ogni donna stuprata è una donna a cui è stata sottratta la vita. E quando ciò accade in guerra, la vita somiglia tanto alla morte.

Coordinamento Nazionale Docenti delle Discipline dei Diritti Umani

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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