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Da ormai 17 anni si celebra, a livello mondiale, la giornata dedicata alla eliminazione di ogni forma di violenza sulle donne. Il 25 novembre è stato scelto nel 1999 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite che ha ufficializzato la scelta fatta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981.
Il 25 novembre del 1960, infatti furono brutalmente assassinate le tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nel caos per oltre 30 anni.
La violenza sulle donne si consuma ogni giorno: sono quasi 7 milioni, secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat, le vittime che hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della propria vita.: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 30 anni. Praticamente uno donna su tre. Secondo poi quanto emerge nel dossier “Rosa Shocking 2″ dell’associazione We World Onlus, su un campione di persone under 30, uno su tre gli episodi di violenza domestica subiti dentro le mura di casa.

La disciplina giuridica delle molestie è stata introdotta soltanto di recente nel nostro ordinamento con il Decreto legislativo n. 145 del 2005, poi trasfuso nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (Decreto legislativo n. 198 del 2006).
Secondo il D.lgs. 145/2005 che ha attuato la D.73/2002 le molestie sessuali sono definite come discriminatorie qualora:
– consistano in comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, umiliante, degradante od offensivo
– consistano in comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona e di creare un clima intimidatorio,degradante, umiliante od offensivo.
I comportamenti possono essere molto vari, ma a base direttamente o indirettamente sessuale, e sono caratterizzati dal fatto che non sono né desiderati da chi li subisce, né graditi.
La vera svolta giuridica contro le molestie si è però avuta in tempi recenti, con la stipula della convenzione UE di Instabul, l’11 maggio del 2011, che la violenza contro le donne diventa violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.
La convenzione infatti è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

Eppure, a dispetto delle convenzioni e delle legislazioni sempre più sensibili al tema della violenza contro le donne, le cronache ormai quotidiane ci rimandano le immagini terribili di donne uccise, violate, vendute, oltraggiate. Si rimane stupefatti davanti a tanto orrore, quando l’orrore assume dei contorni eclatanti, ma si dimentica che la violenza a cui le donne devono far fronte ogni giorno spesso è molto più strisciante e subdolo, molto meno palese. E si annida tra le pieghe di una società latina e maschilista, dove la “palpatina”, il commento sguaiato, la donna-oggetto sessuale è dura a morire.
Una donna su tre subisce violenza nel corso della propria vita, e non parliamo solo di stupro o omicidio ma di donne molestate dentro le mura domestiche o sul posto di lavoro: difficile addittare il “mostro” se ha l’aspetto del fidanzato, o ex marito, o del collega della scrivania accanto alla nostra, se non del capo, a cui si sente di dovere della gratitudine per aver dato un lavoro.

Racconta D.: “ Ero felicissima di poter svolgere il mio periodo di pratica legale nello studio del professore con cui avevo redatto la mia tesi di laurea. Era uno studio prestigioso e sentivo di poter imparare tanto da una persona di così comprovata esperienza. Il capostudio era un uomo sui sessant’anni, elegante nel modo di porsi, con una galanteria d’altri tempi. Eppure, in poco tempo, seppur impercettibilmente, le cose erano cambiate: pur non abbandonando un atteggiamento formalmente educato, era evidente la volontà di avvicinarmi al di fuori dal rapporto lavorativo. C’era sempre una scusa per rimanere soli in studio da soli, gli sguardi diventavano insistenti e così i commenti, camuffati da complimenti, sulla mia persona e il mio fisico. I saluti, prima cordiali ma formali, erano diventati baciamano, se non lunghi abbracci, dove, pur contro la mia volontà, venivo trattenuta a lungo contro di lui. In poche settimane il clima in studio era cambiato: in sua presenza mi sentivo in imbarazzo, con i suoi occhi sempre addosso, con i suoi commenti sempre pronti a sottolineare il mio aspetto fisico. Ma cosa potevo dire? Noi donne siamo troppo abituate a passare sopra ai nostri sentimenti e forse a considerare poca cosa la nostra dignità. Siamo abituate ad essere prima fisico e poi mente, cosa inaccettabile sul posto di lavoro. Ma ero una ragazzina e, come spesso succede in questi casi, non ne parlai con nessuno.

Fino a che, una mattina, dopo avermi chiamato nel suo studio, porta rigorosamente chiusa, per “parlarmi di lavoro” mi ha spinto contro un muro cercandomi stringendomi e baciandomi con la forza. Sono riuscita a scappare e ho sentito alle mie spalle la sua voce che diceva “Scusa, forse ho frainteso il tuo atteggiamento”. Ma io cosa avevo fatto per essere fraintesa? Niente, mi dico ora. Ma allora, scesa in strada, con il cuore a mille, anche io, come altre mille donne violate, mi sono chiesta in cosa avessi sbagliato. La colpa è sempre nostra”.
Quasi una donna su tre è vittima di molestie nel corso della sua vita. Te la sei cercata è stato per troppo tempo la mentalità sociale che copriva e comprendeva questo tipo di atteggiamento aggressivo nei confronti delle donne. Per troppo tempo le vittime ci hanno creduto non denunciando . Il 25 novembre è l’occasione per dire basta.

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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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