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Nel 1999 il sociologo Zygmunt Bauman pubblicava il proprio saggio sull’età dell’incertezza e tutti coloro che hanno dai 25-30 anni in su probabilmente hanno sentito parlare almeno una volta delle sue analisi sulla modernità liquida o sulle conseguenze della globalizzazione sulle persone. Ultimamente si sente spesso parlare anche dei Millennials, i nati tra il 1980 e il 2000. È di pochi giorni fa – 2 dicembre – il cinquantesimo rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, che disegna per loro un quadro a dir poco desolante: per la prima volta nella storia i giovani sotto i 35 anni saranno più poveri dei loro padri, dei loro nonni, ma anche dei coetanei di 25 anni fa e già oggi, rispetto alla media della popolazione, le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%.
Se già per i Millennials la situazione è tutt’altro che confortante, ci siamo mai chiesti cosa significhi essere un adolescente nel 2016? Essere nati in piena postmodernità, non aver vissuto altro che quella che è stata chiamata anche ‘società del rischio’? Dover crescere e formare la propria identità in una società sempre più connessa e multiculturale, ma che lascia sempre più sole le persone a interpretare tutte queste informazioni e tutti questi cambiamenti, senza che ci sia una rete comunitaria di salvataggio?

Da queste e altre domande è partito l’Osservatorio Adolescenti del Comune di Ferrara per le sue indagini annuali sui giovani della provincia. Quest’anno il tema è stato “Gli adolescenti e la paura dell’altro. Gli adolescenti ferraresi e il loro rapporto con l’alterità” e i risultati sono stati presentati all’Istituto Bachelet nel pomeriggio di martedì 6 dicembre da Sabina Tassinari.
Secondo Tassinari il binomio che definisce i ragazzi di oggi è “aperti e indifesi”: “aperti, perché sono nati nel mondo globalizzato e da subito hanno sentito parlare di Europa” come orizzonte della propria cittadinanza, “indifesi” perché questa apertura di confini ha significato anche un riposizionamento dei punti di riferimento e li ha posti “al crocevia di messaggi contraddittori”, facendone dei “presentificatori”, come li ha definiti per esempio il Censis, che vivono il presente più che pensare al futuro. L’altro punto di partenza, come si legge nel rapporto, è stato che la diversità in età adolescenziale, in piena fase di costruzione della propria identità e di senso di appartenenza a un gruppo di pari, diventa un elemento destabilizzante, spesso un motivo di sofferenza – se ci si ritiene o si viene additati come diversi – o fattore scatenante di atteggiamenti di intolleranza, quando si individua la diversità in altre persone.
Il campione di riferimento si è composto complessivamente di 1.193 ragazzi fra i 13 e i 16 anni residenti nei distretti socio-sanitari Centro nord, Sud est e Ovest della provincia di Ferrara, suddivisi in: 615 maschi (51,6%) e 578 femmine (48,4%). L’alterità indagata ha ricompreso tutta la macro area dell’altro da sé, dagli immigrati agli omosessuali e, più in generale, quei gruppi considerati vulnerabili e quindi più soggetti a discriminazioni: per esempio donne, disabili, anziani.
Analizzando le risposte degli adolescenti riguardo la loro percezione dei pregiudizi e delle discriminazioni vissuti da questi gruppi di persone, ne emerge che “l’89% dei ragazzi pensa che la società abbia pregiudizi sugli stranieri, il 91,5% sui musulmani, il 73,4% sugli omosessuali”(era prevista una risposta per ciascuno dei gruppi indicati). Il dato preoccupante, secondo Tassinari, è che “solo il 41,9% degli intervistati pensa che ci siano pregiudizi sulle donne”: sembrerebbe dunque che la violenza nei confronti delle donne non venga purtroppo ancora considerata come un fenomeno culturale, derivato di una società ancora fortemente patriarcale, ma “un fatto casuale e legato a una patologia nei rapporti di coppia”, si legge nel rapporto.
In generale le ragazze e gli adolescenti stranieri – maschi o femmine – dimostrano una maggiore sensibilità nei confronti degli atti discriminatori. Da evidenziare poi che la scuola è il primo luogo dove si assiste a comportamenti discriminatori: dal rapporto emerge che “circa 1 ragazzo su 4 in tutte le scuole, anche quelle secondarie di I grado, è spettatore di atti discriminatori”.
Per quanto riguarda invece il proprio rapporto con i gruppi indicati come più vulnerabili: l’88,7% degli adolescenti intervistati dichiara di avere buoni o ottimi rapporti con persone di altra cittadinanza, l’80,7% con persone di altra cultura, mentre solo il 56,2% risponde di avere buoni rapporti con persone di diverso orientamento sessuale. Un dato questo che spinge a una seria riflessione sul rapporto fra omofobia e bullismo.
Purtroppo solo una piccola percentuale degli adolescenti ferraresi (14,4%) ritiene che l’immigrazione sia una risorsa, mentre la maggioranza (62,2%) ritiene che vada controllata e ridotta. Disaggregando queste cifre per territorio si nota che “i ragazzi del distretto Sud est, che ha la quota minoritaria, rispetto alla provincia, di persone straniere, abbiano un’opinione negativa più marcata dei coetanei degli altri distretti”: una dimostrazione della “forbice fra situazione reale e situazione percepita”, ha affermato Tassinari. Analizzando poi la suddivisione per istituto di provenienza (liceo, istituto tecnico, istituto professionale, scuola secondaria di I grado) emerge che “il 23,9% degli studenti delle scuole professionali, con un notevole distacco rispetto ai liceali e ai ragazzi dei tecnici, ritiene che l’immigrazione sia un fenomeno svantaggioso per la società nella quale vivono”.

In conclusione, il messaggio che esce dalla ricerca è che “l’alterità fa veramente paura agli adolescenti, inoltre se e quando non fa paura di sicuro disorienta i ragazzi”. I fattori che scatenano questa paura, secondo gli estensori del rapporto, sono “la perdita dei legami di comunità” e “una cultura che ci condanna alla felicità come costrizione”, rifiutando il dolore proprio e degli altri, come l’ha definita la dottoressa Garofani dell’Ausl di Ferrara.
Una cultura e una (non)comunità ben esemplificate dal video “Are you lost in the world like me”, con il quale Tassinari ha aperto la propria presentazione.

Are you lost in the world like me?

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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