Skip to main content

“Non c’è bisogno di andare a Nardò per trovare il caporalato”, basta fare un giro lungo le strade che costeggiano le campagne ferraresi. Ad affermarlo Dario Alba di Flai Cgil, che il 6 maggio ha partecipato all’incontro I nuovi schiavi. In cammino contro la tratta degli esseri umani, organizzato alla sala polivalente del grattacielo dal coordinamento provinciale di Libera in occasione della tappa ferrarese della Carovana internazionale antimafie. Insieme ad Alba, che ha presentato il secondo rapporto ‘Agromafie e caporalato’ dell’Osservatorio Placido Rizzotto, c’erano Raffaele Rinaldi, che ha portato la testimonianza dell’Associazione Viale K e dello sportello Avvocato di Strada, e Franco Mosca, che ha lavorato all’Osservatorio sull’immigrazione della Provincia di Ferrara fino alla sua chiusura due anni fa.

Ad aprire la serata una video testimonianza di Yvan Sagnet, ragazzo camerunense venuto in Italia per studiare ingegneria al politecnico di Torino e finito nelle campagne salentine, alla Masseria Boncuri, a raccogliere i pomodori perché il denaro della sua borsa di studio non bastava. Yvan e i suoi compagni hanno dovuto imparare in fretta le leggi del caporalato. I caporali requisiscono i documenti e li usano per procurarsi altri immigrati clandestini, con il rischio che vadano persi, esponendo così al ricatto anche chi è regolare. “Ai lavoratori non è permesso raggiungere i luoghi di lavoro con mezzi propri, devono usare i pulmini dei caporali pagando il trasporto 5 euro”. Se vuoi bere devi pagare 1,50 per l’acqua, se vuoi mangiare il panino costa 3,50 euro, quanto a loro viene pagato un cassone di pomodori da 3 quintali. Non conviene avere problemi di salute, il prezzo del trasporto in ospedale è di 20 euro. Un giorno però qualcosa è cambiato, servivano pomodori per le insalate: significava selezionarli uno a uno, raddoppiando la fatica, ma allo stesso prezzo. Yvan e gli altri braccianti non ci stanno: è l’inizio di una protesta che per settimane blocca la raccolta dei pomodori nel Salento. Le istituzioni sono costrette ad ammettere che il problema caporalato esiste: abbiamo dovuto aspettare uno sciopero di lavoratori migranti perché finalmente nell’agosto 2011 venisse approvata in Italia una legge contro il caporalato (articolo 603bis del codice penale).

“Abbiamo ancora tanto da fare”, ha concluso Yvan, prima di tutto perché quella legge è incompleta, “non c’è nulla che punisca le aziende: sono le aziende che danno i soldi ai caporali per sfruttarci”. Nelle campagne ferraresi certo la situazione non è così grave, il caporalato assume per lo più la forma dell’intermediazione: i lavoratori stranieri si rivolgono cioè a un loro connazionale che parla la loro stessa lingua e che diventa l’intermediario con il datore di lavoro. Tuttavia emergono episodi di grave sfruttamento, tanto che Alba parla di “paraschiavitù”: dai pakistani che lavorano per 15-25 euro al giorno ai rumeni che d’estate vivono stipati dentro container roventi. Inoltre Mosca ha parlato di una pericolosa “frattura fra i lavoratori”, che contrappone italiani e stranieri, con i primi che attribuiscono ai secondi la mancanza e il peggioramento delle condizioni di lavoro.
Forse la soluzione, o parte della soluzione, passa dalla consapevolezza. La consapevolezza, per esempio, che non possiamo più nasconderci dietro questa sorta di “schizofrenia”, come l’ha chiamata Raffaele Rinaldi, “per cui ci indigniamo delle situazioni di sfruttamento e di disperazione quando sono lontane da noi, mentre quando queste realtà cominciano a lambire la porta di casa l’uomo diventa il clandestino”, oppure “ci si scaglia contro gli immigrati e poi li si va a cercare per lavorare” nelle campagne o nei cantieri. Oppure la consapevolezza che anche noi, nel nostro piccolo, quando facciamo la spesa siamo potenti, perché abbiamo il potere di scegliere. In altre parole la consapevolezza di un legame inscindibile fra diritti, legalità, responsabilità e solidarietà.

tag:

Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it