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Io sinceramente di questo 2020 non c’ho capito un cazzo, non so voi. Un anno che non passa mai, ma che è volato via come uno starnuto.
Mi viene in mente il diario del Che in Africa L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte, un mondo allo sfascio dove gli oppressi rimangono tali e gli sfruttatori pure, dove quasi tutti noi diamo il peggio di ciò che abbiamo. Dove chi lavora in prima linea combatte ogni giorno per la sopravvivenza dell’umanità, mentre nelle retrovie ci si scanna per una razione K in più.

Siamo una nazione che ragiona per opposte fazioni, Bartali e Coppi, Mazzola e Rivera, economia e salute. Prima noi e dopo gli altri, in un turbine di incongruenze, dove si parteggia per se stessi camuffandosi da popolo.
Nessuna unità d’intenti, governo e opposizioni, opposti personalismi, parole scontate (comprese le mie).

Mille domande e mille titubanze su ciò che non sappiamo, ma poi adoriamo i feticci da migliaia di anni, la mascherina ti uccide, il virus no, il vaccino non è sicuro, ma poi si calano due Viagra a weekend, tuteliamo i nostri diritti, siamo in una dittatura che ci toglie la libertà di infettarci e infettare. “Vogliamo essere sicuri, mica abbiamo l’anello al naso, ci volete fregare, diventeremo schiavi di Bill Gates, il 5G ci traccerà dappertutto” farnetica il social compulsivo mentre posta il milionesimo selfie con la bocca a culo di gallina.
Vorrei scendere da questo turbinio di notizie, dalla pletora di post copiati senza la ricerca di una minima, fottuta fonte.

Una classe politica specchio della peggior caratterizzazione razzista dell’italiano che sbarcava a Coney Island.
Nel marasma di governo e opposizione, nell’orgia di esperti e incompetenti seriali, impresari e imprenditori, operai e partite iva.
Imposte sul valore aggiunto dell’umanità.
Chi parteggia per il governo che lo rappresenta, chi parteggia per l’opposizione che lo rappresenta, io che sono rappresentato, a occhio e croce, da un quasi nulla parlamentare, credo che al netto dei tanti errori, nel tanto benaltrismo, negli innumerevoli tira e molla o apri e chiudi, se al governo ci fosse stata l’attuale opposizione i morti e la bagarre sarebbero stati di molto superiori.
Si sa, la storia non si fa con i se e tanto meno con i ma, e nulla è ovviamente più opinabile di una opinione.

A febbraio il mondo si è ritrovato all’interno di un film catastrofista di terza serie, dove un virus letale minacciava il mondo intero. Nessun Brad Pitt, era però pronto a salire su un aereo militare per scovare la fonte del contagio tra mille peripezie e salvarci da noi stessi incolpando un innocuo pangolino… mentre ci mangiamo felici uno spiedino di pipistrello.
Dopo quasi un anno abbiamo ancora la voglia ossessiva di additare il colpevole, quando il baco è nel sistema. La solidarietà è diventata motivo di vergogna, aiutare chi è in difficoltà ci pone sempre di fronte a un bivio, è dei nostri o no?
Perché se non è dei nostri, non va aiutato, anzi e lui stesso una concausa del male.

Quanto ci piacevano le lenzuolate di privatizzazioni, quanto eravamo felici nel vedere gli imprenditori fagocitare la sanità, com’era bella quell’idea del preside dirigente della scuola pubblica, in tanti gridavano “libertà!” Quando il privato si faceva finanziare con soldi pubblici.
E ora, cosa si fa? Parola torna indietro?

Non vorrei ricadere come sempre nel mio trito e ritrito slogan che pressappoco cita così: il problema non è la pandemia, ma il capitalismo.
Vorrei fermarmi prima, mi piacerebbe riconoscere, tra mille immagini farlocche, quelle vere. Mi piacerebbe che si desse più risalto a chi davvero combatte per distruggere questa torre di Babele avvelenata dalle radici.
Dopo la seconda stella a destra esisterà davvero un mondo anarchico che si dota di regole prima che gli altri le facciano per lui, saremo ancora in tempo oppure, dopo avere avvelenato l’ultimo fiume, pescato l’ultimo pesce, ucciso l’ultimo bisonte, ci ridurremo a mangiare le banconote che escono dalle banche? (Tatanka Yotanca).

Si parla di terza ondata, mentre ancora stiamo affogando nella seconda.
Politici, imprenditori e persone comuni utilizzano il termine libertà per indicare la schiavitù dell’ignoranza. Siamo disperati perché ci rubano il Santo Natale, ci tolgono la possibilità di riunirci con i parenti anche anziani, magari di infettarli, tanto sono vecchi, sono inutili, sono un prezzo consono, tanto muoiono sotto il fuoco amico.
La disumanizzazione del nemico è uno dei metodi utilizzati dagli eserciti, dai dittatori e dagli sterminatori di tutti i tempi per alleggerire l’anima dei soldati e dei carnefici. Questo metodo inconscio (o forse no), in questo mondo fetido di questo fetido 2020, viene utilizzato da una parte della classe dominante per individuare il rischio accettabile, quel pericolo per magnitudo che ben conoscono gli operatori della sicurezza quando valutano il rischio.
Cioè per ritornare a far galleggiare l’economia è ben plausibile una qualche decina di migliaia di morti in più, un po’ come quel migliaio di morti da portare al tavolo delle trattative di cui farneticava il pelato di Predappio.

Una ruota che gira a discapito di tutto e tutti, mille scuse da addurre ognuno al proprio egoismo. Non possiamo lasciar soli gli anziani quindi abbracciamoli in questa stretta mortale. Non possiamo chiudere le attività, perché poi i morti saranno mille e mille di più…
Lo sci, le piccole imprese, e il governo che fa? Studia app inapplicabili con l’aiuto di esperti che aprono e chiudono compulsivamente l’interruttore delle nostre vite.

I conti si faranno alla fine, che non mi pare imminente. Noi, ognuno inserisca la propria categoria, speriamo d’esser tra quelli che contano e non tra quelli che saran contati.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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