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Era il secolo scorso, un millennio fa, il lontano 1992, quando il terzo governo nella storia della repubblica non a guida democristiana, con a capo Giuliano Amato e una squadra di quadripartito composto dai morituri DC-PSI-PSDI-PLI emanava il D.lgs 30 dicembre 1992, n. 502. Con quel decreto le USL. vennero trasformate in aziende sanitarie locali, con propria autonomia e svincolate da un’organizzazione centrale a livello nazionale, con responsabilità diretta da parte delle regioni.
No, non ho una così grande memoria, basta cercare minimamente in rete e al primo click appare l’inizio dello sfacelo. I primi importanti sintomi di una repubblica che abbandona la mutualità, la volontà di giustizia, la dignità di tutte le persone nei confronti della malattia per cedere all’idea ultra liberista del privato è bello, a discapito dell’orda di fannulloni che tiene bloccata la Giovine Italia che si annida nell’ ‘orrido’ pubblico. «in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le Unità Sanitarie Locali si costituiscono in Aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale» cita bellamente l’articolo 3 del succitato decreto.

Dall’ultimo governo della buonanima Giulio Andreotti decaduto, il 28/06/1992, si susseguono gli esecutivi di Amato-Ciampi-Berlusconi-Dini-Prodi-D’Alema.
Da li ha inizio la fine. Non sono un fine analista, anzi, sono spesso ripetitivo e monotematico, ma dallo sgretolamento dei partiti tradizionali, giustamente indagati e perseguiti a causa di un sistema di tangenti e corruzioni divenuto legge e Stato, non è nato niente. La ‘politica delle somiglianze’ ha portato uno sconvolgimento sociologico, che ad oggi dopo trent’anni ancora non ha fine. La volontà di perseguire un sistema privatistico, ma basato fondamentalmente su finanziamenti pubblici, ha creato finti imprenditori e finti manager a capo di aziende, che ovviamente perseguono lo scopo di lucro, che gestiscono un bene primario, come la salute pubblica a colpi di marketing.
Meglio creare una sanità d’élite, fondata sui soldi, importanti e costose analisi cliniche, interventi chirurgici all’avanguardia dove il paziente vive o muore ma occupa il letto per il minor tempo possibile, smantellamento della sanità di comunità a discapito di grandi strutture dai costi esorbitanti e magari già vecchie al termine dei lavori di costruzione.
Solidarietà, parola abbandonata, divenuta straccio e spesso associata a termini aberranti, come buonismo. Eppure non sono passati secoli dagli anni ’70, dove la medicina democratica in tante regioni (stranamente rosse) aveva messo al centro la persona umana, la sua dignità, il paziente non era più un numero o uno scarabocchio su una cartella clinica. Poi, in meno di due decenni, l’ondata di luce e di vita è stata spenta dai codici pin delle carte di credito. Ben inteso che questo è avvenuto cavalcando la volontà popolare, non con decreti ferragostani o nascosti nei meandri delle finanziarie, anzi, queste privatizzazioni sono state sventolate da governi di centro destra e di centro sinistra. Ecco che ritorna il male assoluto del moderatismo, altro termine coniato negli ultimi decenni e che nasconde al suo interno un blob di violenza incredibile, nascosta tra le pieghe del neoliberismo e negli slogan de “si vince al centro”.

Oggi, nel primo anno del secondo decennio del XXI secolo, nel bel mezzo di una crisi globale causata da una pandemia mondiale, che non accenna ad abbandonarci, continuando a renderci schiavi di noi stessi, con la morte che ci appare ad ogni telegiornale, ci accorgiamo che il ‘Sistema Lombardia’ e buona parte del sistema Italia, non funzionano.
Nel 2020 abbiamo capito che esistono bisogni fondamentali, che devono essere gratuiti, devono perseguire fini mutualistici, devono curare giovani e vecchi, ricchi e poveri (no Sanremo non c’entra). Ottima lungimiranza direi.
Ma come, Non decantavate che era bello e funzionale il privato, pieno di lustrini, efficiente, in mano a manager illuminati che, con soldi altrui, facevano girare l’economia?
Io mi ricordo di voi, mi ricordo i vostri pensieri appoggiati ai banconi dei bar, secoli prima delle vostre ribellioni omologate sui social. Una volta ci si odiava faccia a faccia, esisteva una sorta di equilibrio e di rispetto dato dalla carne viva e dal respiro, ora le vostre tastiere non respirano, sputano solo. Lasciate stare quelli come me, non datemi ragione, non me ne faccio un cazzo, tanto il mio pensiero non è minoritario: è praticamente estinto.
Non piangete sul “latte macchiato” (cit.), non indignatevi coi tanti Fontana che si strozzano indossando una mascherina, ricordatevi dove eravate voi quando tutto questo bel sistema privato vi ha privato di tutto. Forse eravate a festeggiare la messa al bando e la sconfitta dei fottuti comunisti.
Certo che in Italia esiste ancora, e per fortuna, una sanità pubblica, ma il sistema azienda ha fallito, non ha tolto la corruzione, non ha reso più funzionale il sistema. Il lucro, gli schifosi budget e target, con la salute pubblica non centrano nulla: ai bisogni primari non si accede dallo sportello di un bancomat.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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