Skip to main content

 

Dio, patria e zar (o Cesare, che dir si voglia). Non brillerò per originalità, avendolo già scritto su queste pagine, ma è per forza da qui che occorre partire. Il Patriarca Kirill e i  Pope ortodossi assoggettati al potere temporale di un Cesare, che è più un boss che uno zar; una grande madre Russia che non richiama, nell’immaginario collettivo, l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche ma l’Impero. Tanto che l’innominabile imputa addirittura a Lenin la colpa della situazione ucraina, un secolo prima della colpevole Nato.

Gli esperti di geopolitica pullulano, così come i virologi fino a due settimane fa. La realtà virtuale ritorna ad essere la polis dove urlare il proprio sdegno o tifoseria. Intanto la guerra fa il suo mestiere. Uccide, uccide e basta.
E’ una certezza: le armi sono fatte per togliere la vita, e per i morti in guerra non è molto importante sapere da quale canna viene sparata la pallottola letale. Gli invasori invadono e muoiono, gli invasi si difendono e muoiono anch’essi, il testosterone dei patrioti da ambo le parti genera mostri, come la storia dell’evoluzione ci insegna. Anzi, non ci insegna un cazzo. A terra, sotto le macerie fumanti di città accerchiate, come Troia, Costantinopoli, Leningrado, Sarajevo (l’assedio più lungo del ‘900), Cobane … restano i civili, soprattutto donne, vecchi e bambini.

Perché i soldati si sparacchiano addosso al fronte, che non c’è. Le bombe non sbagliano, colpiscono gli ospedali, i teatri e i palazzi perché quello vogliono colpire. L’innominabile – fino a ieri fraterno amico di potenti leader occidentali o idolo da t-shirt di piccoli fasci nostrani –  si trasforma in un attimo nel Cattivo.
Perché, prima era buono? Quando mai lo è stato? Un ego degenere che arringa le folle per liberare la Russia dai Bolscevichi, portando McDonalds sulla piazza rossa, stampella di un ubriacone, e prima ancora strenuo difensore del palazzo che con una pistola e 12 colpi salva le mummie del Politburo. Quando mai è diventato cattivo? Lo è sempre stato.

Non è una guerra dell’Est contro l’Ovest, non è una guerra tra Europa e Asia, non è una guerra di religione, nessuna ideologia contrapposta: il neoliberismo e capitalismo criminale russo è il più fulgido esempio dello sfruttamento dei padroni nei confronti del proletariato.
Provo davvero fastidio quando si cerca di negare questo: non è in atto nessuno scontro di civiltà, solo barbarie contro barbarie. E che dire dell’imperialismo? Chi insegna a chi? Da quanto tempo i potenti impongono la propria volontà con la forza e la violenza? Quanti sono stati gli anni in cui sulla Terra non c’è stata la guerra? Facile rispondere, non c’è bisogno di essere uno storico: nessuno.
L’evoluzione ci ha solo insegnato a come ucciderci meglio. Nell’antichità il Caesar moriva sul campo di battaglia, ora divide et impera da una bella poltrona in pelle, seduto ad un tavolo tondo o rettangolare lungo un chilometro. Quanti morti occorre portare al tavolo delle trattative?

Il nostro parlamento, proprio tutto, a parte 19 deputati di schieramenti misti, chiede al governo di aumentare le spese militari fino al due per cento del Pil. Una bazzecola, direte. Dagli attuali 25 miliardi euro all’anno a circa 38 miliardi di euro.
Lo scorso anno solo 10 Paesi su 30 che aderiscono alla Nato hanno raggiunto questa soglia, tra cui Stati Uniti (3,5 per cento), Regno Unito (2,3 per cento), Polonia (2,1 per cento) e Francia (2 per cento). In media, nel 2021, la spesa per la difesa nei 30 paesi Nato ha rappresentato il 2,65% del Pil complessivo di tutti i Paesi che ne fanno parte.

E il resto del mondo? Idem, si svuotano i granai e si riempiono gli arsenali.

Gli Stati Uniti dovrebbero avere circa quattromila testate nucleari, la Russia circa tremila, non so i numeri di India, Corea, Cina e altri paesi del mondo. Quante ne basterebbero per creare l’inverno nucleare? Per fare diventare l’intero pianeta un biotopo per scarafaggi e insetti robusti, credo ne basterebbero una trentina. E quindi. di cosa stiamo parlando? Se Belzebù potesse fulminare qualche decina di egoarchi, il popolo ne incarcerasse un altro paio di centinaia, forse il mondo prenderebbe un’altra piega.

Ma non c’è nessuna speranza se da qualche parte, nell’unico pianeta che abitiamo, non si innesca un nuovo rinascimento, un nuovo ’68 di speranza e consapevolezza, dove il popolo ucraino e quello russo ritornino ad essere fratelli e ad unirsi contro la violenza del potere.
Un mondo dove i crimini di guerra sono riconosciuti per tutte le guerre. Dove i popoli oppressi sono tutti uguali, dal Centro Europa, al Kurdistan, passando per la Palestina, fino a raggiungere la Siria, la Libia, e poi giù, fino al cuore dell’Africa, oltre l’oceano dove i Mapuche e i nativi americani vivono in gabbie come le scimmie dello zoo. Dove finalmente i profughi di guerra suscitano tutti la stessa indignazione, siano essi bianchi caucasici, arabi, africani o latinoamericani.

L’homo sapiens è uno e unico, non si divide in razze, specie o sottospecie, se non sbaglio condividiamo questo privilegio di unicità solo con una specie di formichiere africano, l’oritteropo (la famiglia, Angela, sarebbe fiera di me).

Dell’accusa di non essere schierato non mi frega niente. Credo di avere il diritto, senza lanciarmi in analisi geopolitiche, di poter dire che la guerra mi fa schifo. Odio il potere e i potenti, qualunque sia la loro bandiera, odio il machismo del capitale. Mi fanno schifo gli ipocriti, i falsi, i bigotti, i corrotti. Provo ribrezzo per chi uccide: con una doppietta, un fucile di precisione, una mitra, un drone, un aereo, un bomba, un missile a corta o lunga gittata. Disprezzo i paradisi fiscali dove amici e nemici si mischiano, forse basterebbe bombardare il Lussemburgo e le Cayman e saremmo liberi.

Questo sfogo potrebbe non avere né capo né coda, però adesso sto meglio.

tag:

Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it