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da: ufficio stampa Cciaa di Ferrara

Govoni: “Ancora una volta, la Camera di commercio ha voluto scommettere sui giovani, migliorandone
la preparazione e favorendo quindi il loro inserimento nelle nostre realtà produttive d’eccellenza”.
2 giovani ferraresi (Daniele Borrelli e Lucia Romanelli) tra i 104 vincitori delle borse di studio

Sono stati svelati pochi giorni fa, alla presenza del On. Maurizio Martina, Ministro delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali, di Stefano Firpo, Capo della Segreteria Tecnica del Ministro
dello Sviluppo Economico, i nomi dei vincitori delle 104 borse di studio, bandite da Google insieme
a Unioncamere, con l’obiettivo di digitalizzare le imprese del Made in italy. E, tra i 104 vincitori,
figurano due ferraresi, Daniele Borrelli e Lucia Romanelli, che, grazie al cofinanziamento della
Camera di commercio di Ferrara (6.000 euro per ciascuna borsa di studio), verranno ospitati per 6
mesi presso l’Ente di Largo Castello con il compito di favorire la digitalizzazione delle imprese del
territorio, aiutandole a creare o sviluppare la propria presenza online, sfruttando così le
innumerevoli opportunità offerte da Internet.
Le aziende ferraresi interessate, fa sapere la Camera di commercio, possono, sin da ora, seguire
su www.eccellenzeindigitale.it un percorso formativo gratuito realizzato dagli imprenditori e rivolto
agli imprenditori, ricco di consigli pratici per utilizzare il web come mezzo di sviluppo di business.
Recenti indagini, infatti, dimostrano che, al crescere del livello di maturità digitale, aumenta la
percentuale di imprese che fanno export. Maturità digitale ed export hanno un impatto diretto sul
fatturato delle imprese: fino al 39% del fatturato da export delle imprese di medie dimensioni che
sono attive online è realizzato grazie a Internet.
“La nostra provincia – ha commentato Paolo Govoni, presidente della Camera di commercio di
Ferrara – è ricca di giovani talenti, che possono offrire un fondamentale contributo allo sviluppo di
idee innovative per il settore agroalimentare. La lezione che, ancor più in questi ultimi anni, ci
viene dal made in Italy è che se le nostre imprese scommettono sulla qualità e sulla cultura
produttiva radicata nei territori, allora riescono a intercettare con successo la grande e crescente
domanda di Italia che viene da ogni angolo del mondo. Anche a Ferrara – ha concluso Govoni –
sempre più imprese intendono sfruttare questa via dell’export, ma senza il valore aggiunto della
conoscenza e del know-how digitale, soprattutto se l’azienda è di piccole dimensioni, è difficile
competere sui mercati globali”.

Ancora riconoscimenti per Ferrara. Il progetto “Made In Italy: Eccellenze in Digitale” si arricchisce, inoltre, di 48 nuove mostre, portando a 150 i prodotti presenti sulla piattaforma google.it/madeinitaly, appositamente realizzata dal Google Cultural Institute per presentare le eccellenze produttive del nostro Paese. Attraverso racconti, immagini e documenti storici, gli utenti di ogni parte del mondo possono scoprire le eccellenze del sistema agroalimentare e
dell’artigianato italiano, e le tradizioni del Made in Italy. Ai prodotti più noti, come il Pomodoro di
Pachino, il Radicchio Variegato di Castelfranco o il vetro di Murano, si affiancano le “Ceramiche
graffite ferraresi”, dove, questa è la motivazione del prestigioso riconoscimento, “I motivi
decorativi e i toni dei colori assumono caratteri di assoluta originalità”.

La storia della ceramica graffita ferrarese

La storia della ceramica graffita ferrarese affonda le proprie origini nei manufatti alto-medioevali
provenienti dalla Cina e dalle ampie zone dell’Altipiano iranico che giungevano sulle nostre coste
per via dei traffici marittimi e commerciali con l’Oriente. I primi lavori che l’archeologia medioevale
ha rinvenuto in sterri ferraresi portano una datazione non anteriore al secolo XIII e preludono a
uno sviluppo di grande rilievo nel corso del secolo XIV, fino ad arrivare al massimo livello
ornamentale e di perfezione esecutiva negli anni che vanno dal 1440 al 1520 circa.
Le manifatture delle aree corrispondenti all’ampia valle del Po – nella prima fase della ceramica
graffita, cosiddetta arcaica – sono piuttosto omogenee nelle forme dei manufatti e negli ornati. Le
argille della valle padana si prestavano particolarmente all’utilizzo degli ossidi metallici di base –
rame, ferro e piombo – per la realizzazione delle vernici che caratterizzavano questo tipo di
ceramica. Le narrazioni ornamentali sono piuttosto schematiche, di carattere prevalentemente
geometrico e floreale; assai più di rado vi compare la figura umana mentre non mancano profili di
uccelli o immagini di animali fantastici desunti dal bestiario dell’epoca.
Nell’ambito di queste produzioni, le cui propaggini territoriali si spingono anche oltre le regioni
dell’Italia settentrionale, Ferrara giunge a svolgere un ruolo di primo piano e di autentico primato a
partire già dalla prima metà del secolo XV in coincidenza con il Marchesato di Lionello d’Este.
La scintilla primordiale va ricercata in un evento eccezionale per la storia e l’arte estense: il
Concilio ecumenico del 1438. In quell’anno fece tappa a Ferrara, portando in città il papa Eugenio
IV, l’imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo. Giunse con uno stuolo di grandi studiosi e
umanisti e uno straordinario artista come Antonio Pisano, detto Pisanello, la cui attività di pittore,
di medaglista, di fine disegnatore di animali, costumi e acconciature, ispirò direttamente le migliori
botteghe di ceramiche graffite di quel periodo.
Ed è a partire da quegli anni che compaiono sulle mense più sontuose di Ferrara magnifiche coppe
centrotavola, grandi piatti da portata e da parata con scene edificanti, finissime stoviglie decorate
all’interno e all’esterno, calamai riproducenti tematiche allegoriche stemmate e, poco più oltre, la
ricorrente figura di San Giorgio a cavallo che uccide il drago nelle più diverse guise. Imprese
estensi, stemmi nobiliari delle famiglie Rangoni, Bentivoglio, Bevilacqua, Romei, Contrari, Sacrati e
così via definivano gli ornati di molte ciotole, piatti e boccali evidentemente ispirati dalla più
ragguardevole aristocrazia ferrarese del tempo, anche se gli stessi motivi araldici trovavano uso e
consumo anche sulle tavole più popolari. I colori più utilizzati sono: verde ramina (ossido di rame),
giallo ferraccia (ossido di ferro) e viola manganese (ossido di manganese).
Curiosità. Si narra che il Duca Alfonso I d’Este fosse un grandissimo estimatore della ceramica
graffita ferrarese e nel suo tempo libero da gravami bellici o diplomatici amasse dilettarsi nella sua
“bottega” presso il castello estense, tanto che la sua passione lo condusse a modificare l’etichetta
aristocratica italiana. Fu egli, infatti, il primo principe a rendere protagonista sulle tavole il
vasellame in ceramica, sostituendolo a quello in oro e in argento in uso sul nobile desco fino a quel
momento.

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di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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