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Questo 2016 è stato lungo e a tratti complesso. Ma la lettura ci ha, come sempre, accompagnati. Alcuni consigli per voi. Da sfogliare.

Henry David Thoreau, Camminare, Mondadori, 2009, 60 p.
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Una raccolta di pensieri e riflessioni elaborati durante escursioni solitarie nella natura selvaggia, la possibilità di stare con lei, di respirarvi accanto, di guarire da ogni tristezza e malinconia, di ritrovare l’armonia con il mondo. Allontanarsi dalla società fa accarezzare il proprio io, non esistono traffico, rumore, fretta, ritmi incalzanti, costrizioni, limiti, problemi. Arrivare dove non c’è nulla salvo lo spazio verde della terra e quello blu del cielo, riporta a pensare, a capire chi siamo e dove andiamo. A farci comprendere che, in fondo, anche noi siamo Natura e che come tali dobbiamo solo tendere all’Armonia. Dopo che nel 1845 ebbe costruito una capanna di legno in una località isolata presso il lago Walden, per restare a contatto con la natura selvaggia, Thoreau capì che non è sufficiente vivere tra alberi, foreste e paludi, ma bisogna camminare. Iniziò così, ogni giorno, a camminare dalla sua capanna nei boschi, dirigendosi sempre in una direzione diversa per almeno quattro ore. Senza meta, senza preoccupazioni. Chi sa camminare davvero è colui che riesce a staccarsi dai propri pensieri e guardare dentro di sé. Ecco perchè ogni giorno passato senza camminare è perso.

Giuseppe Sgarbi, Lei mi parla ancora, Skira, 2016, 128 p.

COP_10337_Sgarbi_Lei_MI_Parla_OK.qxd:Layout 1La stanza con il caminetto acceso ora silenzioso, la poltrona tristemente vuota, i cappelletti della Katia. Dai lontani baci improvvisi, agli abbracci che non hanno bisogno di parole, oggi Giuseppe si ritrova solo, in compagnia di quei ricordi che fanno venire voglia solo di cullarsi nel passato per non pensare al presente o a un futuro che non si vuole nemmeno. Lei non c’è più ma resta, ovunque.  Una lunga dichiarazione d’amore, come quelle di altri tempi, come quelle che non si leggono più e che ti lasciano solo la bellezza di quanto meraviglioso possa essere avere provato un sentimento che tutto guida, che tutto conduce, quella dell’ultimo libro di Giuseppe Sgarbi, dedicato alla moglie Caterina, scomparsa recentemente. Sempre da troppo (“e tu, dimmi: perché sei andata via? Così presto, poi. Che fretta c’era? dimmi….”). La meravigliosa ode alla “Rina spaccatutto”, come la chiamavano da giovane, che cambiava tono di voce quando parlava con la figlia Elisabetta, una dolcezza riservata solo a lei, una voce che diventava quella di un padre con Vittorio e quella di una donna con lui, Giuseppe, che aveva abboccato a un amo, felice di averlo fatto, quello gettato da una donna dalla testa lucida e fulminante. La luce di una vita che ci insegna presto a non fidarsi di lei.

Mauro Corona, La via del sole, Mondadori, 2016, 160 p.

la-via-del-sole-di-mauro-corona-l-zvlr4eNessuno è tanto annoiato quanto un ricco. E se questo ricco è giovane, fortunato, bello, elegante e con la passione ossessiva per il sole, tanto da potersi permettere di spostare le montagne, allora questa noia che non perdona può essere la condanna della ragione e della Natura. Una ragione che si fatica a ritrovare se si perde il senso di ogni misura. Si tratta della storia di un giovane ingegnere che decide di ritirarsi, in montagna in una baita dorata, avvolgentemente calda e all’avanguardia tecnologica, per stare più vicino al sole. Peccato che ogni giorno qualcuno o qualcosa si diverte a mettere i bastoni fra le ruote alla felicità di qualcun altro. E questa volta non si tratta di un semplice nemico o noioso rompiscatole spuntato dal nulla ma di un immenso monolite che si permette di afferrare il sole per la giacca e di farlo tramontare prima del previsto, di toglierlo allo sguardo di quel giovane mai sazio di quella sua luce calda, calorosa e avvolgente. Senza quel monte sbarazzino e impertinente che disturba, lui potrebbe avere un’ora di sole al giorno di più. Come osa. Quella luce inciampa in una guglia e sparisce prima del dovuto. Quell’ostacolo va rimosso. Lui vuole luce. Ecco allora che una squadra di disperati si mette all’opera per far sparire quel maledetto picco. Ma un picco lascia spazio ad un altro e mentre il ricco giovane osserva quella brutale demolizione, all’urlo “la montagna mi toglie il sole, io tolgo lei”, ecco che un’altra roccia spunta, e poi un’altra e ancora un’altra, man mano che quei pezzi di natura cadono sotto le picconate altre ne spuntano, si guadagna un po’ di sole ma i monti sono sempre là. Non basta pagare per averla vinta sulla Natura. Si affonda. Alla fine vincerà lei. Comunque.

Lisa Kemmerer, Mangiare la terra. Etica ambientale e scelte alimentari, Safarà Editore, 2016, 222 p.

Opera della studiosa Lisa Kemmerer, il libro, molto documentato e dettagliato, è la prima traduzione italiana di Eating Earth: Environmental Ethics and Dietary Choice, Oxford University Press, 2015. L’opera, con il supporto di schemi, tabelle e un tocco di umorismo pungente, porta alla luce il gravoso e sconcertante impatto ambientale dell’allevamento animale, della pesca e della caccia per gli ecosistemi di tutto il mondo.  Un libro che guida il lettore alla scoperta della connessione che deve esistere tra i movimenti di salvaguardia ambientale e le scelte responsabili che possiamo operare ogni giorno nel decidere quali alimenti portare nelle nostre tavole. Con la scelta di ciò che mangiamo possiamo contribuire a evitare la deforestazione, l’inquinamento, l’impoverimento dei suoli e dei mari. Bisogna pensarci. «Come consumatori, nei supermercati e nei piccoli negozi, nelle rosticcerie da asporto e nei ristoranti, nei negozi di articoli sportivi e nei rifugi per la fauna selvatica, con il vostro portafoglio votate a favore o contro la terra. Ogni volta che mangiate, decidete se masticare e digerire prodotti di origine animale dall’alto impatto ambientale oppure farne a meno. Per favore, con il vostro portafoglio e con i vostri denti, votate per la terra. Impegnarsi in una dieta vegetale è la decisione più importante che potete intraprendere in nome dell’ambiente».

Andrea Segre, FuoriRotta: Diari di Viaggio, 2015, Marsilio, 216 p.

segrefuorirottaAndrea Segre ha raccolto alcuni dei diari scritti a mano durante dieci anni di viaggi intorno alla Fortezza Europa e nel cuore della sua regione di provenienza, il Veneto. Da Valona a Dakar, da Pristina ad Accra, da Sarajevo a Ouagadougou, da Tataouine a Baghdad i diari portano il lettore a conoscere mondi appena fuori lo spazio di Schengen dove il regista ha viaggiato per conoscere le storie e le origini dei migranti che spesso sono protagonisti dei suoi film. FuoriRotta è anche il titolo del progetto di Andrea e di un bando per il sostegno alla realizzazione di viaggi non convenzionali per giovani under 30, entrambi incentrati sul diritto al viaggio e sull’importanza del viaggio come esperienza di conoscenza dell’Altro e veicolo di contaminazione fra punti di vista. Lanciato nell’autunno 2014 con un viaggio in Kazakistan, oggi il progetto è realtà. Perché viaggiare fuori rotta non significa intraprendere un lontano viaggio esotico, ma conoscere e dialogare con l’altro, che può essere anche incredibilmente e sorprendentemente vicino.

Sylvain Tesson, Beresina. In sidecar con Napoleone, Sellerio Editore Palermo, 2016, 188 p.

tesson-beresinaAncora situazioni estreme e nella Russia che tanto ama. Ecco allora che il girovago Tesson ci sorprende di nuovo provando a (ri)vivere l’esperienza di Napoleone e della sua armata seguendo il cammino della Ritirata di Russia a bordo di un sidecar di fabbricazione sovietica. Non si tratta solo di sfidare il freddo e i ricordi ma di immergersi nel passato, nella tragedia di un esercito vinto. Da Mosca, il 2 dicembre, assieme a un geografo, un fotografo e due amici russi, ha inizio il lungo itinerario di 4.000 chilometri verso la Beresina, Smolensk, Orša, Borodino, attraversando le desolate e gelide pianure e l’inverno fatale, proprio come i veterani francesi decimati dalle truppe dello zar Alessandro. Durante il viaggio il piccolo e coraggioso gruppo cerca ispirazione nelle memorie del confidente dell’Imperatore francese, il generale Caulaincourt, ed esorcizza con la vodka gli orrori di quella letale agonia. Ripercorrendo l’itinerario della sconfitta con dei sidecar scassati lo scrittore racconta la tremenda sofferenza dei soldati. Per fedeltà verso chi li ha preceduti su quel tragitto, i viaggiatori usano solo mappe stradali, nessuna tecnologia, per arrivare a Parigi il 18 dicembre. Un’avventura incredibile.

Sylvain Tesson, Nelle foreste siberiane, 2012, Sellerio Editore Palermo, 253 p.

tesson-foreste-siberianeUn’esperienza sulle rive del ricco lago Bajkal, noto al mondo per bellezza e biodiversità. Per specchiarvi nella luce delle acque di un lago immenso e correre a braccetto con la Natura nella fredda tundra siberiana. Buttatevi a capofitto, senza pensare o riflettere, sulle sue pagine pergamenate e curiose. Meditatelo con attenzione, se volete assaporare la bellezza del contatto solo con il vostro Io, quello più puro, con la vostra autentica essenza, con quanto siete veramente e con quello che respirate, con quanto credevate e credete di essere. Di fronte agli spazi smisurati, abbandonati a sé stessi e con sé stessi, ci vuole la forza e il coraggio che solo i solitari possono avere. Forti unicamente dei propri pensieri, delle proprie sensazioni, della propria libertà di correre e di volare via, lontano. Ritiratosi, per sei lunghi e rigidi mesi, in una capanna di meno di dieci metri sulle rive del lago, all’estrema punta del Capo dei Cedri del Nord, nel 2010, in compagnia unicamente di una nutrita selezione di libri e vivande, lo scrittore parigino opera quasi un miracolo, ricominciando a fare quello che viene considerato un lusso dalla benestante società moderna: pensare e riflettere liberamente, soli, e scrivere di getto quei pensieri leggeri e avvolgenti su un umido e stropicciato taccuino che diventerà un libro da oltre 250.000 copie vendute. Perché ci piace pensare che il vero scrittore usi ancora il taccuino intarsiato manoscritto. Perché crediamo ancora che la Natura sia potente fonte di ispirazione della scrittura più nobile e sincera. Perché si può fare pace col tempo, addomesticarlo, come dice lo stesso scrittore, con l’immobilità quasi totale e il fermarsi a pensare e a scrivere. Quasi una necessità.

Mehdi Rabbi, Quell’angolino tranquillo a sinistra, Ponte33, 2015, 123 p.

quellangolino-tranquillo-a-sinistra-cover-rgbUn libro che non parla della scintillante Teheran ma dei piccoli centri, una serie di racconti con i giovani come protagonisti, testi che hanno a che fare con i ricordi personali dell’autore e con le sue esperienze amorose, storie di una generazione che vive una nuova apertura, dalle corse serali per andare dall’amica, a quelle per andare a bere e divertirsi, il momento più importante della giornata. Questo è il personaggio del libro in cui Mehdi si riconosce: un ragazzo che riflette le speranze dei giovani. Lui ama correre e “forse la corsa può dire qualcosa della nostra generazione abituata a riflettere – dice – che non cerca lo scontro con i problemi che incontra, la corsa è un modo per pensare e risolvere i problemi”. I giovani sono la maggioranza della popolazione iraniana, gli under 25 sono fra il 60% e 70%. E Mehdi, in tutto questo, non parla mai di velo, di religione o politica. Vuole solo raccontare i ragazzi, con una lingua che ricorda la loro estrazione popolare, che sottolinea l’importanza della cultura locale; vuole parlare di amicizia, di amore, di solitudine, di desiderio di realizzarsi, di rapporti genitori-figli, di disincanto giovanile, della piccola cittadina di Ahvaz, con il suo clima, i ponti, gli alberi esotici, i mercatini, i giovani universitari. E mentre nel Khuzestan seccato dal sole il fiume Karun scintilla e la vita scorre, Mehdi esplora i sentimenti e i legami che da sempre tengono uniti uomini e donne. Un’altra visione dell’Iran, lontana dagli stereotipi.

Oriana Fallaci, Solo io posso scrivere la mia storia, Autoritratto di una donna scomoda, Rizzoli, 2016, 272 p.

fallaciStanza, penna, carta e calamaio. Una luce. Soli con la scrittura. In una simbiosi perfetta. Fuori il mondo, semplicemente. La passione dello scrittore, non del giornalista. La differenza. L’empatia, rimanendo in uno spazio chiuso, confinato. Oriana, questo era, questo voleva essere, uno scrittore. Nel suo libro Solo io posso scrivere la mia storia, questa passione permea ogni pagina, ogni riga, ogni parola, ogni singola sillaba. Ogni fatto ha la sua anima, ogni descrizione il suo respiro, una sensazione. E Oriana crede che il racconto sia la sostanza di ogni evento. Dai suoi incontri del periodo della Resistenza, quando da bambina, aveva visto sfilare, a Firenze, Hitler e Mussolini, a quelli con Soraya, Khomeini e Kissinger fino alle fangose trincee del Vietnam e alla tenda discussa di Gheddafi, emerge sempre l’anima di uno scrittore. Ogni parte di questo bel libro riporta nella storia, in quella vissuta emozionandosi, con la consapevolezza di avere la fortuna di fare parte. Queste pagine delineano Oriana nella sua più intensa profondità, pensieri trancianti e precisi tratti dai suoi quaderni che utilizzava per preparare meticolosamente ogni intervista: i numerosi, fitti e concitati appunti autobiografici, note che utilizzava ampliate nei suoi libri. E anche bozze di letture pubbliche o di interventi in cui si metteva nei panni dell’intervistatore che avrebbe incontrato provando a rispondere a domande su di sé e la propria vita. Questi scritti, che trattano anche di temi come malattia, matrimonio e figli mai nati, restituiscono con precisione il carattere e il pensiero di una donna unica, capace di maltrattare grandi leader politici e famosi ed eleganti divi di Hollywood, consegnando ai suoi lettori il testamento di una vita leggendaria. Solo lei poteva raccontarsi. E così intensamente. Nessun altro.

Giulietto Chiesa, Putinfobia, Piemme, 2016, 192 p.

putinfobiaFuori dal coro, come sempre fa Giulietto Chiesa nella sua attenta analisi della paura che l’Occidente ha sempre provato nei confronti della seconda potenza mondiale: l’Unione Sovietica, oggi Russia. La russofobia risale ad almeno tre secoli fa, scrive Chiesa: da quando esiste la Russia come grande Paese essa viene vista come un avversario. Come sempre vengono presentati dati e fatti puntuali. Secondo il giornalista, la Russia potrebbe essere uno straordinario ponte di collegamento dell’Occidente con l’Asia e il resto del mondo ma ciò non accade perché gli occidentali non vogliono questo. Ne viene spiegato il perché. Si può essere d’accordo o meno, ma non si può negare che seguire il ragionamento del libro conduce a farsi delle domande, a cercare delle risposte, a vedere una prospettiva nuova, differente. La curiosità, d’altra parte, e il rimettere tante cose in discussione, fa parte dell’uomo. Perché non starci allora e con onestà intellettuale?

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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