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J’aurais pu en déduire que cet homme, mon père, ne m’aimait pas, et ainsi le laisser anéantir une partie de moi. Mais j’avais compris qu’il m’avait désiré comme rien d’autre au monde, de cet amour et cette fougue sans limites si propres à la jeunesse. 

Avrei potuto dedurre che quest’uomo, mio ​​padre, non mi amava, e quindi lasciare che distruggesse una parte di me. Ma avevo capito che mi aveva voluto come nient’altro al mondo, con l’amore e l’ardore sconfinati propri della giovinezza. Anthony Delon

Alain, Anthony e Nathalie Delon

Pensare di non essere amati, e capire, invece, senza che sia troppo tardi, di essere stati immensamente, intensamente e profondamente desiderati. Figlio di un mostro sacro del cinema, icona di bellezza inarrivabile e inafferrabile – Alain Delon – e di un’attrice affascinante emblema di libertà – Nathalie Delon -, Anthony Delon toglie ogni velo sulla sua famiglia, un testimonianza forte e a tratti sconvolgente (perché del tutto inaspettata) e coinvolgente (perché estremamente empatica) sulla sua infanzia, la sua adolescenza, il difficile rapporto con il padre e la malattia della madre, amorevolmente accompagnata fino alla fine dei suoi giorni.

Se leggete il francese, in attesa della traduzione italiana, Anthony Delon, oggi cinquantasettenne, pubblica Entre chien et loup, un libro intenso e disarmante per la sua franchezza e trasparenza, che, all’inizio, pare un poco una resa dei conti (la solitudine di un bambino, Anthony, paragonata a quella di L’incompreso, di Luigi Comencini e la violenza e durezza di un padre, Alain, che pare non perdonare alcun segno di debolezza) ma che alla fine è una storia di grande amore e grandi amori. È il racconto del clan Delon, fatto di tutti coloro che hanno aiutato Anthony a crescere, a partire delle due madri (quella di sangue, Nathalie e quella del cuore, Mireille Darc), entrambe scomparse, al padrino con il ruolo di padre, l’agente cinematografico-angelo custode Georges Baume, fino al celebre genitore Alain Delon, figura autoritaria ingombrante e quasi “tutelare”, con il compito più di raddrizzare il figlio che di educarlo. Sfida tra titani, altrettanto caparbi.

Alain Delon e Nathalie Delon in France, 1960 (Photo by Giancarlo BOTTI/Gamma-Rapho via Getty Images)

Nelle pagine intime che si divorano, si sfiora e percepisce bene la collera di Anthony, la rabbia, la rassegnazione, a volte l’odio verso un padre che ha cercato a più riprese di piegarlo, indebolirlo, non tanto di distruggerlo quanto di sottometterlo, comme dans une horde de loups où le clan doit se plier face au dominant”. Come quando il padre gettò dalla finestra il piatto di un bambino che faceva in capricci o quando, sfidandolo, dodicenne e timoroso del buio, lo obbligò a fare il giro del lago intorno al giardino della villa, di notte, in pieno inverno, senza un raggio di luce, come prova di coraggio. L’attore era di umore estremamente altalenante: giorni euforici e giorni pieni di pessimismo (“il y avait des jours avec et des jours sans”, dice), capace di giocare con la famiglia in piscina, nei luoghi di vacanza, organizzando scherzi e travestendosi da fantasma ma anche di irrigidirsi improvvisamente, di non voler sentire alcuna voce o bisbiglio al risveglio mattutino. Nei fine settimana a Douchy, alla fine delle riprese, Anthony lo accompagnava in lunghe passeggiate insieme ai fedeli cani, di fianco, nei rari momenti di intimità, ma sempre in rigoroso silenzio. Sempre presente la sua adorata tata Loulou, la madame Deprez che teneva testa a monsieur Delon, un narciso che lei detestava (Anthony lo avrebbe scoperto tardi…).

Nathalie e Alain Delon

Il libro racconta anche aneddoti divertenti, come al momento del battesimo di Anthony. “A pranzo i miei genitori, che erano inguaribili provocatori, proposero di fare il gioco della torre: chi butti giù tra queste due persone? Era presente anche il grande Luchino Visconti. E mia madre chiese a papà: chi butti giù, Georges (Beaume) o Luchino? Mio padre preferì Georges. E Visconti si alzò di scatto, arrabbiato: chiese di essere subito riaccompagnato in auto a Parigi”. (…). Alti e bassi, sempre. Fragilità, paura della solitudine e dell’abbandono, anche questo era Alain,  sfidante sempre pronto al duello.

L’età adolescenziale di Anthony è marcata dalle fughe dall’istituto Charlemagne e ancora da scontri con il padre, dai dissapori sul marchio Delon fino all’arresto per furto e alla passione per le armi; qualche serie tv e un film nel frattempo (tra cui Cronaca di una morte annunciata di Francesco Rosi). Apprendere dalla radio di avere una sorella, il 25 novembre 1990, sarà un’altra ferita aperta.

Mireille Darc e Alain Delon

La perdita di Mireille (Mimi), dell’amata Loulou, della madre Nathalie, dopo una lunga malattia (Anthony ha girato con lei e per lei un documentario sui suoi ultimi 37 giorni di vita), la presenza delle due figlie Loup e Liv, l’ictus del padre nel 2019 che ha richiesto decisioni importanti, l’avvicinamento vero e sincero al compagno della madre Chris Blackwell e alla loro Giamaica, avrebbero, in qualche modo, ricomposto il puzzle impazzito. Di una famiglia dove nulla era ed è normale. Da leggere.

Anthony Delon, Entre chien et loup, éd. Le Cherche Midi, 2022, 192 p.

Immagine in evidenza Alain e Anthony Delon, Getty Images

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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