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La maggior parte degli over 40 cade dalle nuvole quando sente nominare I Cani; anzi, a essere precisi ne ignora proprio l’esistenza e di solito dice “non li conosco, chi sono?”. Ma visto che Niccolò Contessa non è mai andato a Sanremo e nemmeno da Amici, si fa anche un po’ fatica a dare riferimenti che possano sembrare credibili. Un vuoto di conoscenza che – a dire il vero – non danneggia più di tanto il progetto musicale del cantautore romano, visto che il concerto di giovedì sera all’interno della rassegna “Ferrara sotto le stelle” ha fatto il tutto esaurito dei biglietti già diversi giorni prima della data, con un migliaio di ventenni a riempire il cortile del castello estense. La scocciatura per chi non ha più tra i venti e i trent’anni è un po’ questa: il pubblico appartiene tutto a una fascia d’età ben precisa e però condivide pensieri e stati d’animo più che mai vicini a chi vive adesso anche se non ha più vent’anni, perché mica è facile trovare canzoni che abbiano questa stessa attualità, mancanza di retorica, franchezza, ricerca di “cose difficili” e scoperta di piccole pieghe di felicità. Come per i classici cantautori, i testi di Contessa sono determinanti per chi va a un suo concerto e l’altra scocciatura della serata ferrarese è che non sarebbe stato male che le parole potessero uscire più chiare dalla macchina sonora allestita per l’occasione, che fa invece prevalere il suono sui contenuti.

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I Cani in scena sul palco di “Ferrara sotto le stelle” 2016 (foto Giorgia Mazzotti)
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Il cortile del castello alla del concerto dei Cani, Ferrara 30 giugno 2016 (foto Giorgia Mazzotti)
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Pubblico alla fine del concerto dei Cani, Ferrara 30 giugno 2016 (foto Giorgia Mazzotti)

A riscattare ogni perplessità c’è comunque Niccolò Contessa (cantante e anima del progetto musicale dei Cani), il suo bassista, la sua band e l’entusiasmo del pubblico che non smette mai di ballare al ritmo delle canzoni, che partono da quelle dell’ultimo album “Aurora” (2016) con “Questo nostro grande amore” e poi vanno a ripescare il primissimo “Sorprendente album d’esordio de I Cani” (2011) tra il desiderio di vivere nelle perfette inquadrature simmetriche di un film di “Wes Anderson” e la catalogazione generazionale di “Velleità”. Dopo un finale annunciato con “Non finirà” e poi ancora con “Finirà”, Contessa resta in scena a saltare e cantare instancabilmente. La serata la chiude come meglio non potrebbe, andando a pescare dal suo secondo album (“Glamour”, 2013) quel brano così poetico e azzeccato che si intitola “Lexotan” come un farmaco e che dopo tante tribolazioni ti sbatte in faccia la sorprendente scoperta di una “sciocca, ridicola, patetica, mediocre, inadeguata felicità”. Una “niente affatto fotogenica felicità”, raggiunta dopo avere “sempre cercato un sacco di cose difficili/ per poi scoprire che non stavo meglio per niente, niente niente niente niente niente” e ritrovarsi a godere di roba piccola, condivisione, affetto, normalità, alla faccia “delle medicine/ degli psicofarmaci, del lexotan/ dei rimedi in casa, della valeriana/ della psicanalista junghiana”.

Ci vuole un giovane asciutto ed essenziale come Niccolò per rivelare il senso della vita a una generazione di eterni peter-pan che non lo ascolta ma che, se gli capita di farlo, non può che restare conquistata da tanta sapienza e capacità di analisi. E forse non è un caso rimanere così colpiti dalla voce di un ragazzo, una volta che hai modo di conoscerla e ascoltarla. Perché le nuove generazioni hanno il talento di vedere le cose con la lucidità che manca a noi, genitori un po’ strambi, cresciuti di ideali e grandi proclami, che poi vengono contraddetti dalla realtà quotidiana. Ed è questo che Niccolò Contessa descrive così bene in uno dei brani d’esordio, “I pariolini di diciott’anni”, fotografia di giovani cresciuti in famiglie con idee di sinistra più o meno estreme e uno stile di vita borghese; gente radical-chic che non sempre vive in sintonia coi problemi reali, che i ragazzi vedono invece a tinte più che mai nitide. Grazie, allora, a questi Cani che si tuffano nel mondo vero con ironica caparbietà e lucida disillusione; fino a farlo, materialmente, in chiusura di concerto. Mentre canta il conclusivo “Lexotan” Contessa si butta infatti a testa in giù in mezzo al suo pubblico con scarpe Vans all’aria e il fisico smilzo pronto a ritornare in scena con coraggiosa e pragmatica agilità.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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