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La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti è l’ultimo tassello del disegno di una élite globalista che ha come obiettivo il controllo sui corpi di tutti e di tutte. Disegno già emerso con la conduzione e narrazione della pandemia nei governi occidentali; scrivono le Libere Femministe Genova in un loro comunicato. E non potrei essere più d’accordo. È da 10 anni che mi occupo di maternità surrogata, un business costruito sui corpi delle donne, narrato come estremo atto di libertà e amore, che farà delle donne le proprietarie definitive del proprio corpo.

L’atto di prestarsi come madre surrogata che significa consegnare, attraverso la firma su un contratto, la propria vita e il proprio corpo per i 9 mesi di gravidanza, a committenti privati e alle cliniche private che vendono tale pratica, racconta bene come le donne siano l’indice di misura dello spiegamento del potere del sistema patriarcale all’interno di governi che si definiscono progressisti e democratici. Non dovrebbe stupire dunque la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che mostra i muscoli machisti ribaltando una sentenza di 50 anni fa per tornare a dichiarare sfacciatamente quello che non hanno mai smesso di fare: legiferare sui corpi delle donne. L’obiettivo, da sempre, è di creare categorie umane sulle quali imporre più o meno restrizioni all’autodeterminazione del singolo individuo. Il sistema è sempre lo stesso: creare delle sottocategorie per le quali si giustificano restrizioni alle libertà personali da parte di quelle élite di potere che vogliono mantenere i loro privilegi. E queste sottocategorie sono sempre state costruite a partire da quella che andava controllata e dominata perché capace di dare la vita: quella delle donne.

Lo dice molto bene Adriana Guzman nel suo intendimento del patriarcato “Qual è l’uomo piò sfruttato, più oppresso, più discriminato? Un uomo che è contadino, che non sa leggere, che non sa scrivere in castigliano, che non è andato a scuola, un omosessuale potrei dire, un orfano, un disabile. Ci sono tanti strati di oppressioni sopra un uomo, una sopra l’altra, però al di sotto di queste c’è sempre una donna, che è disabile, che è contadina, che non è andata a scuola, e che ha in più l’oppressione di essere una donna. Dunque al di sotto dell’uomo più oppresso del mondo che si possa immaginare c’è una donna più oppressa. Questa donna condivide tutte le oppressioni dell’uomo, di classe, di razza, di genere però ha in più l’oppressione per il fatto di essere una donna, ha un’oppressione per il fatto di essere donna. Non esiste una oppressione per il fatto di essere un uomo. Se sei oppresso lo sei perché sei proletario, perché sei un contadino, perché sei disabile ma non perché sei un uomo. Noi altre siamo oppresse per il fatto che siamo proletarie, perché siamo contadine, perché siamo disabili perché non sappiamo leggere né scrivere però in più perché siamo donne…”

Ebbene quello che sta succedendo negli Stati Uniti non è altro che il proseguimento della politica neo liberale di questi ultimi due anni. Non è forse vero che con la pandemia la maggior parte degli stati occidentali liberal-democratici ha impiegato tutta la sua forza mediatica per ridurre e contrarre il diritto all’autodeterminazione dei singoli? In nome di un “bene comune” hanno decretato nelle alte sfere le categorie che mano a mano dovevano piegarsi al volere politico, rinunciando al loro libero esercizio di autodeterminarsi.

Va detto però che è l’uso della lingua e della parola non incarnata che crea confusione e permette una narrazione falsata di ciò che significa autodeterminazione. E la parola disincarnata è il fondamento della ideologia transumanista (oggi presente in posizione apicali) che fa dei corpi delle mere macchine perfettibili. Grazie all’intelligenza artificiale, si consolida, questa volta veramente, la morte di Dio e della coscienza umana nella quale Dio dimora.

Come ha detto bene Valeria Gheno “la lingua è un atto costante d’identità”. Ma per lingua dobbiamo intendere quella lingua madre che è parola incarnata, che nasce da un sapere ancestrale dei corpi e non è solo una lingua che plasma il pensiero astratto. Una lingua la cui parola ha la capacità razionale di legare i nostri pensieri alle nostre emozioni e alle nostre esperienze incarnate.

È dunque necessario dire in modo chiaro che l’aborto non è un diritto. Il diritto è all’autodeterminazione e le Donne hanno il dovere e la responsabilità di esercitarlo sempre e a maggior ragione durante una gravidanza. Nessuna corte suprema può restringerlo.

Durante una gravidanza appare evidente a tutti che autodeterminarsi significa accettare di assumersi la responsabilità di fare una scelta tra due diritti in conflitto: quello alla vita della donna e quello alla vita del feto. Ma non è forse vero che autodeterminarsi è sempre una scelta fra il conflitto della realizzazione del sé (diritto di autodeterminarsi) e il “bene comune” (diritto di una società giusta e solidale)? Dunque, sarebbe giusto porsi la domanda: è bene che un’autorità astratta (non poi così astratta ma sempre fatta dal consesso di uomini) e terza, prevalga sulla coscienza individuale come è successo in questi ultimi tempi? o se questo sia inaccettabile?

Per noi Donne è chiaro. Nessuno può scegliere per noi e sul nostro corpo, e così dovrebbe valere per tutti. Lo spazio della coscienza di cui il corpo è espressione incarnata è inviolabile e resta il principio cardine del diritto all’autodeterminazione anche se in corso c’è il rischio della vita per altri.

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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