Skip to main content

In un interessante ed elaborato paper pubblicato dal Nber (‘Public debt and low interest rates’ che trovate qui) l’economista capo del Fmi Olivier J. Blanchard, prova a rispondere a una domanda che mantiene costante il suo fascino: siamo proprio sicuri che il debito pubblico sia un problema?
Blanchard arriva, molto prudentemente bisogna dire, alla risposta che sostanzialmente non lo sia. In realtà ponendo delle condizioni, di cui la principale è che il tasso d’interesse pagato sul debito sia inferiore al tasso di crescita, ovvero che i sia inferiore a g (i=tasso di interesse, g=tasso di crescita).
Lo studio si sofferma in particolare sull’economia statunitense e mostra che nonostante il debito pubblico sia andato crescendo vertiginosamente, come si prevede faccia anche per il futuro, questi non è mai stato un problema dato che il tasso di interesse è sempre stato inferiore. Così come si presuppone sarà anche per il futuro.
Negli Usa il tasso nominale decennale a fine 2018 era circa il 3%, e le previsioni di crescita nominale (ossia della somma del pil reale e dell’inflazione) è intorno al 4%.
Stessa situazione si riscontra negli altri paesi, del resto sappiamo tutti che, come si dice in giro, siamo nell’era dei tassi zero. Quindi passiamo da un decennale nominale all’1,3% con una previsione decennale di crescita del 3,6 della Gran Bretagna, al Giappone dove il decennale è quotato lo 0,1% e la crescita stimata e è dell’1,4%. Nella zona euro mediamente il decennale quota 1,2% a fronte di una crescita stimata del 3%.
Se poi il fatto di avere il debito sotto controllo possa portare più facilmente benessere ai cittadini rimane controverso in quanto l’economista conclude “Il paper raggiunge conclusioni forti e, a mio avviso, sorprendenti. Dicendola (troppo) semplicemente, il messaggio inviato dai tassi bassi non è solo che il debito può non avere costi fiscali sostanziali, ma anche che potrebbe avere costi di benessere limitati”.
Un’interpretazione di questo scetticismo potrebbe essere dato dal fatto che a dar da mangiare alle persone di sicuro non sono debito e moneta, bisognerebbe qui lasciare la teoria economica e continuare con la politica economica, ma andiamo avanti perché questo report è stato ripreso anche dalla Bce (lo trovate qui).
La Bce si affretta a precisare che “I modelli teorici non arrivano a formulare conclusioni chiare riguardo al segno e alle dimensioni del differenziale tra crescita e tassi di interesse sul debito pubblico”.
Il grafico seguente mostra che laddove persista un debito molto alto, statisticamente il differenziale è più alto, ovvero si pagano più interessi e il debito in generale è meno sostenibile nel lungo periodo, il che costringe un Paese a più alti avanzi primari per coprire gli interessi

Insomma, la situazione italiana dove la crescita non è bastata a pareggiare i costi del debito. La conclusione della Bce sembra proprio essere che seppure il debito pubblico possa non essere un problema, bisogna poterselo permettere. Ovvero il costo degli interessi deve essere inferiore a quello della crescita e non bisogna lasciare che aumenti, perché in questo caso aumentano le possibilità che il differenziale diventi sfavorevole (i>g).
Ma cosa non considera Blanchard e neppure la Bce? Semplicemente che a bloccare la crescita italiana è stata proprio la rincorsa di tutti i governi, dietro costrizione della Commissione europea, ad abbassare il debito. Rincorsa fatta a suon di avanzi primari e tagli alla spesa pubblica che ha depresso sostanzialmente la crescita a differenza degli altri Paesi che invece hanno usufruito o di ampi deficit (quindi spesa) come proprio gli Usa, la Uk e il Giappone oppure confidando sul surplus artificiale e non competitivo come la Germania. La Cina invece ha usufruito di tutti e due gli elementi (deficit reali intorno al 10% e surplus di bilancia commerciale molto alti grazie a un bel po’ di dumping commerciale), raggiungendo vette impareggiabili di crescita del Pil.
Se il debito pubblico sia sostenibile o meno potrà anche dipendere in parte dai tassi di interessi ma dipende soprattutto da altri fattori. In primis, la moneta con la quale ci si indebita e se questa è controllabile dall’emettitore. Se l’Argentina e il Venezuela emettono debito in dollari difficilmente potranno ripagarlo. In questa stessa situazione si trovano i paesi dell’eurozona perchè emettono un debito che non possono gestire.
A tal proposito cito un paper sempre della stessa Bce, Working Paper Series nr. 2072 del giugno 2017 “Con una moneta nazionale, l’autorità monetaria e l’autorità fiscale possono coordinarsi per garantire che il debito pubblico denominato in quella valuta non sia inadempiente, vale a dire che i titoli di Stato in scadenza saranno convertibili in valuta alla pari, così come i depositi di riserva in scadenza presso la banca centrale sono convertibili in valuta alla pari.
Con questo accordo in vigore, la politica fiscale può concentrarsi sulla stabilizzazione del ciclo economico finché non si è ottenuta la guarigione. In particolare, se l’autorità fiscale effettua un trasferimento forfettario alle famiglie, le famiglie sono più ricche a un determinato livello di prezzo e aumentano le spese.
Tuttavia, sebbene l’euro sia una valuta fiat, le autorità fiscali degli stati membri dell’euro hanno rinunciato alla capacità di emettere debito esente dal rischio di insolvenza.”
Il che dovrebbe chiudere il discorso. Il debito pubblico è un problema finché manterremo separate l’autorità fiscale e l’autorità monetaria, situazione che abbiamo voluto, ne abbiamo fatto oggetto di un trattato e lo rispettiamo come fosse scritto sulla tavole sacre nonostante l’evidenza economica e sociale gridi vendetta. Il tutto è diventato talmente dogmatico che le stesse autorità monetarie che ci impongono sacrifici al suon di alta disoccupazione e distruzione di servizi pubblici, possono permettersi di scrivere che stanno operando al di fuori della normalità senza che ci sia una minima reazione da parte di chi legge.
Non ci resta, dunque, che continuare a giocare con i grafici di Blanchard che pur ha un merito, visto che è stato ripreso dalla Bce e quindi dalla Banca d’Italia: tenere viva la debolissima fiammella del dibattito.

tag:

Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it