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E’ rinchiusa nel centro di identificazione ed espulsione di Fiumicino da una settimana. Ha chiesto asilo politico, ma dovrà aspettare una trentina di giorni per avere una risposta. Tutto è incerto. A cominciare dalla sua identità ufficiale, non ha un documento, non esiste né Italia né in Macedonia, dove è nata senza che i genitori l’abbiano denunciata all’anagrafe.

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Ulfindana “Giuba” Bejzaku (foto di Ippolita Franciosi)

Ulfindana, per gli amici Giuba, rom di 34 anni, moglie di Afrim Bejzaku, cinque figli di cui quattro minorenni, abita in Italia da un ventennio e da qualche anno vive con la famiglia in una casa di proprietà a Berra. “Non sono mai stata rinchiusa, sono incensurata, mi mancano i miei figli, non sopporto questa lontananza”, racconta al telefono. “Mi hanno fermata a Goro mentre chiedevo l’elemosina, mi hanno domandato i documenti e quando ho detto di non averli è cominciata una trafila tra una caserma e l’altra fino a che mi sono ritrovata a Roma”, spiega con voce agitata.
“Il giudice ha confermato il decreto di espulsione, non ha voluto tener conto della situazione, i nostri figli sono nati in Italia, vanno a scuola qui e qui c’è la mia famiglia, siamo in 13”, spiega il marito, 32 anni, tre volte nonno e insieme alla moglie docente di danza rom insegnata in differenti teatri e scuole soprattutto a Bologna dove entrambi, spiega, vantano un passato da mediatori culturali nelle scuole. Afrim è agli arresti domiciliari e quando li avrà scontati anche per lui si profila l’espulsione. “Io posso andare in Kosovo, vengo da lì, ma Giuba non può raggiungermi”, dice.
E’ un problema politico, è un problema di etnie, è un problema comunque, che si riversa sulle vite dei bambini: dove metterà radici il loro futuro? Per sempre in viaggio? Afrim e Giuba, una storia di nomadismo stanziale, complicata e impensabile per chi ha in tasca una normale carta d’identità. Siamo di fronte a un’altra cultura, avversata e difesa da fronti politicamente opposti. C’è chi giustifica e chi accusa. Chi non li vuole e chi ne considera i differenti valori un arricchimento. La sostanza non cambia: dove devono vivere queste persone? Dove hanno casa, sostiene l’avvocato Salvatore Fachile, che si sta occupando del caso. “Tenuto conto che la signora è un apolide di fatto, ha una vita radicata in Italia, quattro figli minorenni, mi sembra ci siano ragioni fondate, perché possa essere accettata la richiesta d’asilo che abbiamo presentato – spiega – tra 28 giorni ci sarà la prossima udienza, speriamo venga attivata la protezione umanitaria”.
Al giudice di pace, racconta il legale, è stata fatta presente la situazione, ma “ha dichiarato di disinteressarsene a discapito dell’interesse familiare. C’è una certa superficialità”. Sicché l’espulsione è stata convalidata, ma la Macedonia, dove Giuba non esiste, respingerà con tutta probabilità quella richiesta d’ingresso e lei rischia così di restare prigioniera del Cie, lontano dai suoi, a spese dello Stato per essere, “dopo 18 mesi, rilasciata in Italia”. Perché l’Italia non è né dei diritti né dei doveri. Ha leggi “così così” e soluzioni ancora meno di “così così”.

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Monica Forti

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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