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175 nazioni ieri al Palazzo di vetro dell’Onu hanno approvato e iniziato a firmare l’accordo sul clima Cop21, che avevano scritto a Parigi in dicembre. Lo ha comunicato Leonardo DiCaprio perché anche la terra ha bisogno di un testimonial che abbia vinto l’Oscar. L’accordo è di grande importanza perché i maggiori paesi, a partire da Stati Uniti e Cina, si impegnano a ridurre la temperatura del pianeta di 2 gradi.
Affrontare e soprattutto risolvere i cambiamenti climatici è una delle grandi scommesse della nostra epoca e uno dei principali obiettivi dell’Onu fin dal primo vertice sulla Terra che si svolse a Rio nel 1992 e poi con il protocollo di Kioto e l’emendamento di Doha (con il quale i paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990). Il nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici esteso a tutti i paesi dell’Unfccc dovrebbe entrare in vigore nel 2020. Se ne parla da troppo tempo ed è ora di agire. Ci sono però ancora 70 paesi in via di sviluppo che non si sentono ancora vincolati a questi principi.
A Parigi in dicembre si è detto di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei due gradi, proseguendo poi gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi; sono stati presentati vari piani di azione e si sono previsti contributi per questo; si è avviato un percorso di trasparenza che impegna i paesi a comunicare i dati tra loro in un principio di comunicazione e di solidarietà.

L’accordo è un grande successo soprattutto perché inverte la tendenza di fallimenti degli anni passati (come Berlino dieci anni fa e Copenaghen sei anni fa). Però non tutti sono convinti che ci si creda davvero. Il rischio di un aumento pericoloso delle temperature porta ampie regioni della superficie terrestre a non essere più abitabili per l’aumento della anidride carbonica a causa dell’uso dei combustibili fossili. Per non parlare dell’acidificazione degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai dell’Artide. Un enorme problema per le generazioni future che sperano nelle promesse dei governanti di oggi.
L’economia verde fatica ad avere successo come anche la decarbonizzazione. Dovrebbero essere i paesi più ricchi a pagare, ma ne avranno la forza? Si parla di “loss and damage” ovvero di avviare un meccanismo che compensi le perdite finanziarie con un meccanismo di rimborso assicurativo. Una chiamata in causa di alta responsabilizzazione difficile da attuare insieme a tanti altri problemi.
Europa, Sati Uniti, Cina e India (in tono minore) dicono di poterlo fare. Però siamo in ritardo e dilatare i tempi rischia di vanificare gli sforzi: non è stata fissata una data, che avrebbe spaventato le imprese petroliere, del carbone e del gas, oltre ai paesi produttori di energia da fonte fossile. Inoltre non si presidia il controllo delle emissioni del gas serra prodotti dal gigantesco settore del trasporto aereo e navale, che pesano quasi il 10% del problema.

Obama ha promesso che entro il 2030 elimineremo le emissioni del 32% (ma lui non sarà più presidente); DiCaprio ci ha detto che siamo “l’ultima migliore speranza della terra” e Ban Ki Moon afferma che il momento è storico. Proviamo a crederci. Certo è che stiamo cambiando le cose più velocemente di quanto non capiamo; a volte senza sapere come ci stiamo comportando. La caratteristica di una società civilizzata si misura dal senso di responsabilità sul futuro.
Mi ricordo le ultime parole di Robert Louis Stevenson nel suo libro “Jekill e Hyde”: “Il peso e il destino della nostra vita sono legati per sempre alle spalle dell’uomo e, quando si tenta di disfarsene, ci ricadono addosso con maggiore e peggiore oppressione.”

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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