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Bambini, questi sconosciuti, questi ignorati-cannibalizzati-feriti-uccisi-dimenticati.
Proprio i bambini, che nulla possono contro la cattiveria dei grandi, che nulla sanno dei mali del mondo, che vogliono solo giocare, scherzare, divertirsi, correre e ridere.
Proprio i bambini che invece si trovano, loro malgrado, in mezzo a tanto nero. Il nero del fumo, della paura, del terrore, delle armi, del pianto, del dolore, della morte.
Così, a Gaza, la tregua appare ancora incerta e fragile. E mentre si stimano in oltre 370mila i bambini che hanno bisogno di sostegno psicologico ed emotivo urgente, le organizzazioni umanitarie non riescono più a rispondere a questa situazione catastrofica, almeno finché non ci sarà un cessate il fuoco permanente. L’allarme è di ‘Save the children’, che stima in più di 450 i bambini uccisi finora a Gaza. In mezzo a tanta distruzione, i bambini non hanno alcun senso di normalità e la continua violenza potrà solo aggravare e approfondire la loro paura e il trauma. Le ferite non potranno essere così facilmente sanate e l’impatto a lungo termine di questa violenza sui più piccoli sarà terribile. In Ucraina, in un asilo colpito dai bombardamenti, sono volati in cielo dieci bambini. In Iraq, molti altri, per non parlare della Siria. Una vera contabilità dell’orrore. Ma il problema non è dato dai numeri, 450, 100, 200 o 1000. Anche un solo bambino ucciso dalla guerra è già troppo.

Tanti sono gli strumenti internazionali esistenti, dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, alla Carta africana sui diritti e il benessere del bambino del 1990, fino alle Risoluzioni 1539/2004 e 1612 /2005 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sui bambini e i conflitti armati, ma i principi in essi contenuti sono sistematicamente violati. Strumenti di tal tipo non servirebbero nemmeno, se solo ci si fermasse a riflettere sulla sacralità stessa dell’infanzia. Che uomini siamo mai diventati?
I bambini, con il loro candore e la purezza, sanno trasferire semplicemente le emozioni più profonde con facilità e spontaneità. E’ difficile insegnare ai nostri figli a sognare e a esprimere i propri sentimenti per migliorare il mondo davanti a tanta crudeltà, diretta proprio contro di loro. Le loro camerette colorate dovrebbero farci ribellare a tanta ingiustizia, spingerci a gridare, urlare, protestare, strappare promesse a chi deve e può agire. In molte parti del mondo questi bambini non giocano più, devono fare i conti con mine, spari, scoppi, bombe. Piccole pedine indifese, parte di un gioco sporco degli adulti, il loro cuore non ha spazio per pulsare, per i semplici sentimenti di ogni giorno, per scavalcare muri, arrampicarsi sugli alberi, giocare con la sabbia, con secchielli e palette, con biglie e palline, con vento e aquiloni, con bambole e macchinine, per trovare un nascondiglio diverso da quello necessario a scampare a una granata.
Piccoli e rosei burattini, molti bambini non possono più avere alcun entusiasmo, correre nei prati per inseguire un fiore. Li stiamo privando dell’infanzia, non è giusto, non è tollerabile, non è naturale, non è umano. E’ ora di fare qualcosa. Anche se è davvero difficile capire cosa, in un ingranaggio tanto complesso, misero e meschino…

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”,
Il piccolo principe, (Antoine de Saint-Exupéry)

“Un bambino risponde «grazie» perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo. Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te. […] Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è «aiutami a fare da solo». Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà. Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la letteratura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta. Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu. […] Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti. […] Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte. Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere. Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua. […] Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.” (Federica Morrone)

IL BRANO INTONATO: Non insegnate ai bambini, Giorgio Gaber

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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