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Non c’è pace in casa Bejzaku, Giuba è tornata da poco, ha ottenuto l’asilo politico, ma suo marito Afrim, agli arresti domiciliari da nove mesi nella loro abitazione di Berra, dove vivono con quattro dei cinque figli ancora minorenni, rischia di essere rimpatriato in Kosovo. “La scarcerazione è prevista l’11 di novembre, se non mi concederanno l’asilo richiesto circa un mese fa, l’epilogo potrebbe essere davvero disastroso per la mia famiglia – racconta – Mi hanno già destinato al Cie di Milano e poi mi spediranno in Kosovo, mia terra d’origine dove non ho più un parente. Siamo tutti in Italia, ci abito dal 1985, ho comprato l’abitazione dove risiedo, i miei figli sono nati e vanno a scuola qui”. La sua è una lotta contro le lancette dell’orologio, tra una settimana potrebbe ritrovarsi dietro le sbarre del Cie (Centro di identificazione e espulsione) di Milano, ultima stazione prima di tornare in Kosovo. “Se la risposta non arriverà in tempo o sarà negativa o tutte e due le cose, mi sarà impedito di mettere piede in Italia per 10 anni, così dice la legge”, spiega.

La prospettiva non lo entusiasma di certo, per quanto rom, apolide, la sua vita è ormai nel Basso ferrarese. Nel bene e nel male. “Fino a due anni fa non ho avuto problemi con il permesso di soggiorno, lavoravo con incarichi rinnovati di volta in volta, poi mi sono ritrovato a spasso – continua – automaticamente sono diventato un clandestino”. Nell’arco di un breve tempo ha totalizzato un paio di espulsioni, racconta, ed è cominciata una battaglia a colpi di ricorsi per opporsi ai provvedimenti di legge. E’ stato un susseguirsi di perquisizioni, controlli, foto segnaletiche arricchite, racconta, da una “gita” al Cie di Roma. “Non mi hanno trattenuto a causa di un problema di salute certificato, così dopo poche ore sono rientrato in città insieme ai carabinieri”, spiega.
Due uomini, un’auto e diverse ore per un’andata e ritorno a vuoto a Fiumicino. Una telefonata avrebbe potuto evitare il piccolo ma sostanziale dispendio di soldi pubblici e di tempo improduttivo per il personale delle forze di pubblica sicurezza? Chissà, ancora una volta comunque gli evidenti limiti della “Bossi-Fini” e della sua applicazione riverberano sulle tasche del contribuente. La missione si è rivelata più o meno inutile e si incastona nella complicata questione migratoria, che dovrebbe esser valutata con diversi pesi e misure a seconda dei casi incontrati. Ma siamo ancora all’anno zero e le emergenze finiscono con l’inghiottire vecchi e nuovi problemi dell’accoglienza.

Non tutte le storie sono uguali, ricorda Afrim ripercorrendo la sua e, soprattutto, quanto è accaduto dopo aver lasciato il Cie romano. “Sembrava mi dovessero lasciare in stazione con 30 euro in tasca, li avrei dovuti usare per tornare, erano meno della metà del costo del biglietto. Un’assurdità – prosegue – A un certo punto c’è stato un contrordine, mi hanno portato a Copparo in guardiola, doveva essere l’anticamera di un espatrio diretto deciso dall’Ufficio Immigrazione di Ferrara”. Nella notte le condizioni di salute di Afrim si sono fatte critiche. “Perdevo sangue, a quel punto hanno chiamato l’ambulanza. L’infermiera, dopo aver chiesto cosa fosse successo, disse subito che si trattava di una sceneggiata, lo fece senza neppure attendere la diagnosi di un medico – continua – Fui ricoverato per quattro giorni a Cona. Quella prima notte, in attesa delle visite di routine, ho dovuto sopportare le battute di chi in ospedale attribuiva l’emorragia all’aver ingoiato dei palloncini pieni di droga. Furono gli stessi carabinieri a difendermi, a spiegare che non ero in stato di arresto e la droga non c’entrava nulla. Umanamente parlando è stato un approccio orribile”. Era l’inizio di novembre del 2013, quella notte, ricorda, quattro militari dell’Arma piantonarono la sua stanza per poi scomparire alle 11 del mattino. “E’ difficile dimenticare – conclude – non si pretende solidarietà, ma almeno il rispetto della persona. Certe cose, soprattutto quando si tratta di illazioni, non possono essere taciute e hanno il sapore di un dichiarato razzismo”.

Foto di Ippolita Franciosi

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Monica Forti


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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

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