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“Ebrei, il miglior nemico degli imbecilli. Per questo sarebbe difficile, per gli imbecilli, trovare un nemico migliore. Il nemico serve a chi soffre di un’identità debole e un malinteso spirito di gruppo o un malinteso patriottismo sono spesso, purtroppo, l’ultimo rifugio delle canaglie. L’antisemitismo è un tarlo mentale, di chi ha bisogno di prendersela sempre e comunque con qualcuno, per vigliaccheria, o per pochezza”.

Così interveniva il professor Umberto Eco alla vigilia della pubblicazione del suo romanzo ‘Il cimitero di Praga’, che l’autore ha inteso dedicare ai falsari dell’odio e dell’antisemitismo. Il libro riporta le deliranti ossessioni e le trame di un antisemita gonfio di odio. Racconta una storia rigorosa, ma scritta in forma di romanzo popolare ottocentesco affollata di ‘falsari dell’odio’ al cimitero di Praga. E’ gente capace di dire tutto e il contrario di tutto. Secondo loro, gli ebrei sono pieni di malattie, eppure più longevi degli altri, controllano la natura, le arti e l’economia, sono repellenti, eppure l’unica ragazza ad attrarre il protagonista antisemita Simonini sarà proprio una giovane del ghetto di Torino.
Il protagonista del romanzo incarna l’apoteosi della mistificazione, così abituato a imbrogliare e a falsificare da credere, alla fine, egli stesso ai propri inganni. Non ha pietà per nessuno e non possiede scrupoli morali. L’unico punto fermo della sua esistenza è l’odio profondo per gli ebrei e un’avversione particolare per i Gesuiti.

In cosa consiste il messaggio del “Cimitero di Praga”? Il romanzo è tutto concentrato sulla falsità di un documento in possesso del protagonista Simonini, ‘I Protocolli dei Savi di Sion’. Il messaggio intrinseco che ci arriva è proprio quello di non dare credito a suggestive ipotesi campate in aria. ‘I Protocolli’ descriverebbero ad arte una presunta congiura giudaico-diabolica, progettata nei minimi dettagli con il fine della conquista del mondo intero, diventando così la descrizione inventata di un incontro nel 1897 fra dirigenti ebrei, che volevano sovvertire la società cristiana e che miravano al dominio ebraico nel mondo. Con i ‘Protocolli’, la massoneria e gli ebrei, la triade su cui si fonda il romanzo di Eco è completa e si crea una messinscena per gli eventi rabbinici nell’antico cimitero di Praga. Fin dall’inizio del romanzo, Simonini associa al popolo ebraico un marchio d’infamia e di pericolo per la società. “Degli ebrei, so solo ciò che mi ha insegnato il nonno e cioè che essi assumono le colpe di tutti i mali del mondo: si sono avvicinati alle città per arricchirsi, sono traditori, gli ebrei uccidono i giovani cristiani per spalmare di sangue il pane azzimo, gli ebrei sono capitalisti ecc…”
Fra le osservazioni dell’autore: “Qualcuno ha detto che il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie, chi non ha principi morali si avvolge di solito in una bandiera e i bastardi si richiamano sempre alla purezza della loro razza”.
Umberto Eco in questo romanzo si scaglia contro i pregiudizi razziali e lo fa nel modo migliore, risvegliando la coscienza e nel far odiare la meschinità del protagonista, il falsario Simonini.

La vicenda di Simonini è interessante, soprattutto fa comprendere come già molti anni prima della seconda guerra mondiale l’antisemitismo fosse una piaga ben radicata nella società, e fa riflettere il fatto che nell’ottocento, come ai giorni nostri, facesse comodo trovare un “capro espiatorio” a cui dare la colpa di tutti i fallimenti di una classe politica mediocre. Un forte odio e una grande fantasia possono costruire false notizie e inganni, a quel tempo tramite i libri, oggi con l’avvento di internet, colmo di bufale e fandonie, dove attorno alle tragedie vengono costruite false notizie pur di assicurarsi momenti di popolarità.

In molti continuano a chiedersi se questo romanzo di Umberto Eco condanni veramente l’antisemitismo o se possa provocare un antisemitismo involontario. Nella sua “ambiguità” i pareri restano discordanti.

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Laura Rossi

Curatrice e insegnante d’arte. Ha recensito vari libri e ha collaborato con alcuni mensili curandone la pagina dell’arte come “la cultura e l’arte del Nord-est” e la pagina dell’arte di Sport-Comumi. Ha curato la Galleria Farini di Bologna e tutt’ora dirige e cura a Ferrara la Collezione dello scultore Mario Piva. Ha ricoperto per circa dieci anni la carica di presidente della Nuova Officina Ferrarese, con decine di pittori e scultori fino agli inizi degli anni duemila. Sue critiche d’arte sono pubblicate sul “Dizionario enciclopedico internazionale d’arte contemporanea” 1999/2000

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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