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Destra e sinistra categorie del passato? Difficile da sostenere fino a quando l’economia di mercato che condiziona la conoscenza non sarà soppiantata dall’avvento del governo della conoscenza sull’economia e sul mercato. Due modi distinti di considerare uomini e donne: da un lato la loro centralità, dall’altro la libera sopraffazione dei beni.

E qui siamo alla questione vera: un’economia basata sulla conoscenza o una conoscenza basata sull’economia? Far uso dell’economia in funzione della conoscenza o usare la conoscenza in funzione dell’economia? In definitiva, l’economia che condiziona la conoscenza o la conoscenza che condiziona l’economia?
In questi giorni ancora freschi di tornata elettorale, c’è qualcuno, che con altrettanta banalità del tipo “signora mia le stagioni non sono più quelle di una volta”, ci racconta che categorie come destra e sinistra sono superate.
Francamente di fronte al dilemma che sta in testa a questo articolo, mi pare proprio di no.
La destra è ancora quella dell’improvvida dichiarazione del ministro Tremonti che con la cultura non si mangia. Per cui se la cultura serve all’economia e al suo mercato va bene, diversamente, se ne può fare a meno, con buona pace degli otia studiorum.
Credo che a questo proposito tra destra e sinistra intercorra un rapporto direttamente proporzionale, tanto più la destra ha investito in capitali e finanze, tanto più la sinistra ha investito nello studio, nella ricerca e nella cultura. E ha fatto bene. Perché senza conoscenze, senza sapere, senza una nuova cultura non si esce dal vicolo cieco in cui ci hanno condotto gli interessi delle destre nel mondo.
La settimana scorsa l’amico Fiorenzo Baratelli, nel suo bell’articolo su queste pagine, ci ricordava la visione kantiana dell’uomo come legno storto dell’umanità. Devo dire la verità, che fin dai banchi di scuola l’approccio a quelle pagine mi induce irrimediabilmente a pensare all’ulivo. Magnifico albero, che più legno contorto di così non si può. Ma per l’uomo, sappiamo, storicamente carico di importanti e impegnativi significati.
Il filosofo Isaiah Berlin, nel suo libro Il legno storto dell’umanità, ci mette in guardia da tutti quelli che assurgono o sono assunti a guaritori dell’uomo. E ha ragione. Perché non c’è via di uscita per l’umanità se non si nutre fiducia negli uomini e nelle donne. Ecco un altro tema che non estingue le differenze tra destra e sinistra. La fiducia nell’uomo, nell’uomo nuovo è propria della sinistra.
Se pensiamo a una società fondata sulla conoscenza che guidi la condotta dell’economia e dei mercati, allora ricollochiamo l’uomo al centro, con la sua perenne ricerca di pace e di felicità. La conoscenza è dell’uomo, perché la usi per impedire d’essere sfruttato insieme al suo ambiente di vita. Questo è di sinistra.
Di destra è ostacolare ogni conoscenza che possa ridurre la libertà dell’economia, della concorrenza, dell’uso delle risorse.
Lo sviluppo strategico basato sulla conoscenza incoraggia la ricerca, stimola alla creatività continua, alla condivisione dei saperi, al loro rinnovamento e aggiornamento, all’interazione delle conoscenze tra i cittadini del mondo.
Solo questo sarebbe sufficiente a farci dubitare della validità dei sistemi di istruzione che ancora ci teniamo, non certo pensati per preparare i giovani al sapere, alla ricerca, ad acquisire gli strumenti per vivere in futuri dove le conoscenze potrebbero non essere più quelle apprese, ma tutte da rinnovare o da ricercare nuovamente.
No, nei sistemi di istruzione che la destra ci ha lasciato, quasi inossidabili nel tempo, i nostri bambini e i nostri giovani, giocano ancora il ruolo di depositi generazionali, da riempire delle nozioni ritenute necessarie per essere accolti come servitori diligenti degli interessi dei mercati, della voracità dell’economia globale. Saperi che riempiono la mente, ma volutamente dimentichi di coltivare le intelligenze.
Così col tempo, come dimostrano le ricerche internazionali sulle competenze degli adulti, che collocano il nostro paese all’ultimo posto, unitamente alla Spagna, le abilità acquisite sui banchi di scuola si affievoliscono e con loro l’interesse del mercato del lavoro che ti respinge, facendo della tua esistenza una vita di scarto per l’economia e per la società.
Oggi, più che mai, non c’è cittadinanza se non fondata sul primato della conoscenza, anziché del mercato. La sfida tra destra e sinistra si gioca sul terreno delle politiche in grado di investire da subito sui cittadini come capitale intellettuale, sulle politiche che considerano le persone come la ricchezza principale di un paese e, per questo, neppure una può essere abbandonata a se stessa.
L’impoverimento culturale è degrado sociale, svilimento della dignità dell’uomo, è grave quanto e più dello sfruttamento dell’ambiente, perché colpisce l’esercizio della propria vita, l’autonoma gestione di se stessi.
È di sinistra ritenere intollerabile e scandaloso che decenni di politiche neoliberiste abbiano ridotto l’Italia ad avere, secondo i recenti dati Ocse, il 70% di adulti tra i sedici e i sessantaquattro anni che posseggono competenze di base al disotto del livello tre, ritenuto dall’Europa indispensabile per poter partecipare consapevolmente alla vita sociale e lavorativa. Se a questo dato sommiamo la percentuale di giovani che non raggiungono alcuna qualifica e quella di chi, dopo essersi laureato, emigra all’estero, ci rendiamo conto che a ognuno di noi è stata rubata la possibilità di vivere in un paese la cui economia fondi le radici sulla conoscenza.
Il grande furto prodotto dalle politiche di destra è questo. L’averci sottratto ciò che è essenziale alla cittadinanza nella società della conoscenza, la capacità di generare e di applicare nuovi saperi, di creare idee nuove e invenzioni che stimolino la realizzazione di prodotti competitivi, di servizi e procedure per il nostro progresso.
È impensabile che il tessuto di una società oggi possa tenere senza conoscenza e senza rafforzare il coinvolgimento di tutti. La stessa politica nata in rete ci sta ad indicare che è finita l’epoca delle cittadinanze anonime. Ci troviamo di fronte a processi che possono migliorare la qualità della vita entro i confini della propria città, del proprio paese e anche oltre, facendo divenire attraente la cittadinanza, con l’essere sempre più qualificati e ricchi di competenze per potersi prendere cura della propria comunità. Occorre allora considerare attraente vivere il proprio paese. Questo è il compito delle generazioni anziane nei confronti di quelle più giovani, formare insieme un gruppo poliedrico di scambio di metodi, di lezioni apprese, di nuove idee, di processi tecnologici e di iniziative per promuovere e vitalizzare un’economia che affondi le sue radici nei saperi.
Credo sia questa la fonte essenziale per ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle altre nazioni, così come per qualsiasi altra organizzazione, non può che essere la cultura diffusa, radicata nella gente, non può che essere il capitale intellettuale. Questo è il motivo per cui l’investimento sociale nella cura di ogni uomo e di ogni donna, come di ogni bambina e bambino, fa ancora la differenza tra la destra e la sinistra.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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