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Chiudiamo con i ricordi di Anna Maria, classe 1923, che per tutti in paese è da sempre e sempre rimarrà la maestra.
Forse anche per questo, all’inizio è un po’ come se fosse lei a interrogarmi: vuole sapere come è nato questo lavoro, come rielaborerò le sue risposte, dove verrà pubblicato l’articolo, e alla fine scherza: “me lo vuoi sottoporre prima di pubblicarlo? Così lo correggo!”.
Anche lei, come Giorgio, mi dice subito che “è difficile riferire di quel tempo”, descriverlo a chi non lo ha vissuto: “era una vita che trascorreva molto più lentamente, più semplice, con meno frenesia e distrazioni, ma soprattutto c’era più ‘senso dello stare insieme’, almeno qui nei paesi”. “Ora molte cose – mi dice indicando con un cenno del capo al limite del rimprovero il portatile e lo smatphone sul tavolo – isolano e la comunicazione diventa più difficile. Una volta, anche con questo freddo, dopo cena capitava che si uscisse solo per andare a trovare qualcuno e fare quattro chiacchiere, magari ci si raccontava stupidaggini, ma si stava insieme”. Ora invece si telefona, si usano le chat sugli smartphone e sui pc, che certo accorciano le grandi distanze, ma sembrano allungare quelle che potresti percorrere a piedi.
Per il Natale era un po’ lo stesso: “il modo di viverlo era più modesto, ma si aspettava con più desiderio l’avvicinarsi di questa festa perché si respirava un’atmosfera diversa e si facevano cose diverse dal resto dell’anno: anche il suono delle campane del campanile era differente, tanto per fare un esempio”. “A dicembre si sentiva l’aria di Natale, ma era tutto vissuto in famiglia, non c’era lo sfarzo di ora: i bambini preparavano le letterine a scuola e poi le portavano a casa. Una volta con i miei alunni ne abbiamo fatto uno in stile gli origami”, mi dice la maestra. “Già dai primi giorni del mese bisognava prenotarsi al forno del paese per cuocere i pani di Natale, se erano così tanti che non si riusciva a cuocerli nella cucina economica di casa, e poi si preparavano i tortellini, allora era un grande impegno perché erano per tante persone e quindi li si faceva insieme”. Anna Maria sta cercando di dirmi che “più che la festa in sé era la tutta la preparazione che la precedeva, il sentimento che la avvolgeva” a renderla speciale.
“A caratterizzare i Natali di allora era la mancanza di frenesia”, non c’era l’ossessione di fare regali e trascorrere il tempo assieme era un piacere non una sorta di dovere come pare sia ora. “A proposito di regali – le chiedo – quali erano i più ambìti?” Anna Maria mi risponde che “i regali erano per lo più in legno, cavallini o carrettini, qualche trombetta forse. Per i maschi i più ambiti erano però i trenini di latta che si caricavano con la molla. Alle bimbe si regalavano le bambole. È così anche ora? Mi ricordo che un anno me ne regalarono una con il viso di porcellana e gli occhi che si aprivano e si chiudevano. Mi raccomandavano sempre di stare attenta e io la tenevo con grande cura”.
“È vero che li portava la Befana il 6 gennaio?” “Sì, i regali li portava la Befana ed era un momento molto emozionante per i bimbi”. Anna Maria mi spiega che c’era tutta una messa in scena da preparare in segreto. “Qualcuno della famiglia avvertiva che sarebbe arrivata la Befana e avrebbe controllato dalle finestre che i bimbi non stessero facendo i capricci per andare a letto”. “Poi, dalle nove della sera circa, qualcun altro travestito arrivava veramente, preannunciandosi con uno strano strumento, se vuoi ti mostro”. Anna Maria si alza e si dirige verso il camino nell’altra stanza: “si prendevano le molle per la legna e l’attizzatoio e si sbattevano l’uno sull’altro. Così, senti? I bambini si fermavano impauriti ad ascoltare”. In effetti il suono non è dei più rassicuranti, soprattutto pensando che era provocato da un’oscura figura fuori le mura domestiche nelle buie e fredde serate di inizio gennaio. Poi la presunta vecchietta chiedeva: “Ien a let i putin?”, cioè “sono a letto i bambini?”. E gli adulti in casa rispondevano “Sì sì, ien a let”. Mentre i piccoli erano “spaventatissimi”, tanto da “andare a letto senza vederla” e scoprire i regali “solo la mattina dopo”.

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Nei racconti dei nonni il significato autentico del Natale
Il Natale fra le due guerre: “Mandarini, caramelle e le zigale ci bastavano per fare festa”
Quando a Natale sbocciavano i fiori di carta
La Novena di Natale: infreddoliti ma felici
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Federica Pezzoli


PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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