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2 Agosto 2016

Il nemico

Tempo di lettura: 3 minuti


di Liliana Cerqueni

Pensare anche solo per un attimo che ‘il nemico’ può scatenare le nostre inquietudini, le paure e l’estremo terrore fino a ridurci all’impotenza o, al contrario, rafforzare la nostra identità, il nostro senso di appartenenza e la nostra effettiva sostanza attraverso una consapevolezza più profonda del nostro potenziale, è allarmante ma necessario. Il nemico, nella nostra lunga storia, non è altro che l’altro volto di noi che reca in sé sempre e comunque qualcosa di riconoscibile. Una figura di cui non possiamo fare a meno, che ci permette di misurarci e confrontarci con noi stessi in un dialogo, i cui presupposti dovrebbero essere l’onestà intellettuale, la volontà di riconoscere questa dualità e la ricerca di spazi che ci consentano di sperimentare e vivere positivamente questa dimensione oppure, viceversa, conflittualmente ma consapevoli di ciò. Una dimensione però che resta sempre e comunque duale. Quando Carl Schmitt si riferisce all’idea di Stato e di Popolo, richiama all’idea di unità politica come raggruppamento di amico (der Freund) e nemico (der Feind), due volti della stessa realtà interna, dove per nemico egli intende l’altro (der Fremde) in senso esistenziale. Il binomio di amico-nemico è la rappresentazione di gruppi di individui impegnati in una lotta virtuale ma effettivamente realizzabile in termini concreti. La guerra è l’atto estremo di scontro in cui è possibile la morte fisica, una condizione che l’uomo deve sempre tener presente.
Nel processo di riconoscimento e collocazione del ‘nemico’ interno nel tutt’uno, diventano chiari ruoli e funzioni e tutto si riconduce a una realtà complessiva plausibile e comprensibile. Il rapporto tra amico e nemico può essere quindi di concordanza ma anche neutralità o conflitto. Ciò che è avvertito come estraneo, diverso, ‘altro’ e quindi sospettabile e temibile, viene assorbito per convenienza, rigore morale, impulso umanitario, istinto di sopravvivenza e altre ragioni, oppure affrontato con ostilità.
Nelle varie epoche lo scontro amico-nemico ha trovato prevalentemente terreno fertile nelle guerre dove la figura del nemico rimaneva sempre un riferimento certo e distinguibile: le orde barbariche nella civiltà antica, gli eserciti di blocchi alleati dell’altro fronte nelle due guerre mondiali, un antitetico modello sociale, culturale ed economico nella Guerra Fredda… Nemici visibili e identificabili, che venivano combattuti, vinti o lasciati amaramente festeggiare i loro trionfi, contrastati, osteggiati ma a cui era possibile dare un volto e un valore.
In epoca globale, il nemico è profondamente cambiato e le guerre si combattono negli angoli più disparati del pianeta per l’affermazione esclusiva dell’identità religiosa, sul fronte finanziario nelle piazze affari, sulle piste del narcotraffico per il controllo e la dominanza, sulle rotte dell’immigrazione diventata un colossale affare, nelle sale dei bottoni per le decisioni che cambiano geografie e storie. Guerre irriconoscibili, stravolte, che sfuggono ai canoni a cui la Storia ci aveva abituati, quella Storia che si continua ad insegnare nelle scuole e che pur nella sua crudezza ed atrocità non provoca estraniazione e senso di insicurezza identitaria. Non sappiamo più distinguere l’amico dal nemico, non siamo più in grado di riconoscere il valore del nemico e quindi il nostro valore. Il nemico è semplicemente un’ombra spettrale che avvertiamo ma non possiamo visualizzare. Siamo inquieti perché non riusciamo a costruire l’immagine dell’altro, fantastichiamo scenari e bersagli senza poterci appigliare alle nostre certezze perché il fantasma è impalpabile, immateriale e colpisce quando, dove e come non sappiamo. E nel frattempo, viene meno il confronto/scontro che permette di costruire civiltà.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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