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5 Giugno 2014

Il padre che non dorme mai

Tempo di lettura: 3 minuti


Il reality Grande Fratello, concluso una decina di giorni fa, è lo spunto di riflessione del mio intervento. Nonostante gli ascolti progressivamente in calo del programma, il reality consente di rilevare alcune tendenze di questo tempo, a partire da diverse dinamiche relazionali. Genitori che solo davanti ad una telecamera riescono a esprimere ai figli sentimenti verso di loro e a comunicare quanto sono orgogliosi di loro: sembra che l’unico modo di trasmettere l’amore sia attraverso la spettacolarizzazione dello stesso.
Vi è spesso sadismo nel mettere in difficoltà i concorrenti rispetto alla compressione delle loro emozioni, dando l’illusione di poterle controllare trattenendole a comando. I concorrenti sono ridotti a burattini pilotati dall’Altro. Quest’anno il Gf si è inventato un sistema che ha chiamato “freeze” grazie al quale i concorrenti dovevano immobilizzarsi quando sentivano pronunciare questa parola e rimanere immobili fino ad ulteriore comando. Durante questo congelamento veniva fatta entrare nella casa una persona significativa per qualche concorrente, in modo da metterlo in difficoltà. Il significato di ciò è un Altro che ha potere sulle emozioni altrui, decide quando possono essere manifestate o quando debbono essere trattenute (ne va del budget settimanale per fare la spesa se qualcuno si muove e si abbandona a qualche sguardo particolarmente comunicativo). Anche nel momento della proclamazione del vincitore è stato giocato questo blocco, con l’intento di congelare l’emozione per creare ancora più suspence.
La scelta dei concorrenti in ogni edizione è sempre più condizionata dai canoni estetici imperanti e dal tentativo di trovare persone con storie tragiche con cui sia più facile per gli spettatori provare immedesimazione e identificazione: figli di separati, orfani di uno o entrambi i genitori, disoccupati, giovani costretti ad andare a lavorare a 14 anni per mantenere i fratelli.
I dialoghi tra i concorrenti sono banali, zeppi di luoghi comuni, discorsi superficiali che raramente toccano la reale intimità dei concorrenti. Nel contempo, i sentimenti sono espressi con eccessiva enfasi. Ad esempio, vi sono persone che, dopo una settimana di convivenza, si dichiarano amore o amicizia, termini che usati in modo così superficiale, vengono svuotati del loro significato profondo originario.
Altro paradosso è che i concorrenti, nelle conversazioni, sembrano tutti disinteressati al successo e, soprattutto, al montepremi finale, come se la ragione per cui sono disposti a rimanere isolati dal resto del mondo per diversi mesi fosse da ricercare altrove. Alcuni dichiarano che l’esperienza è servita loro per conoscersi realmente, quasi fosse paragonabile ad un percorso di psicoanalisi (cosa ben più seria in realtà!).
Il Gf si propone con modelli di identificazione semplici. Il premio finale assegnato in questa edizione a un contadino rafforza l’illusione che ognuno, anche una persona semplice, superando una prova, possa avere la sua rivincita nella vita. L’eliminazione progressiva dei concorrenti avviene tramite un televoto del pubblico da casa, ma in realtà le eliminazioni sono via via prevedibili e si intuisce anche quale potrebbe essere il vincitore finale.
I concorrenti sono controllati 24 ore su 24, in tutti i loro momenti della giornata: in ciò si incarna il tentativo estremo di controllo su tutto; che è la tendenza di questo tempo. Mentre Freud sosteneva che un buon padre ogni tanto deve poter chiudere un occhio, la tendenza odierna registra un padre che non dorme mai, che non abbassa mai la guardia e tiene sempre sotto controllo il figlio in ogni sua mossa. Quale gesto miglior per creare soggetti insicuri e dipendenti dall’Altro?
Le analogie con la vita reale sono molte. Così molti figli non hanno più una zona riservata del loro privato, rispetto a genitori, e analogamente, i genitori tendono a mostrare tutto senza veli. In alcune edizioni hanno partecipato al gioco, addirittura, intere famiglie, dimostrando come si appiattisca sempre di più la differenza generazionale e soprattutto di ruolo. Mancano in tal modo modelli di identificazione forti per i figli che crescono sempre più disorientati, in balìa degli altri e di un mondo costruito sul virtuale. Il significato stesso della parola reality è interessante dal momento che indica la “verità”, quando con la realtà della vita quotidiana ha ben poco a che fare.

Chiara Baratelli, psicoanalista e psicoterapeuta, è specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali. baratellichiara@gmail.com

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Chiara Baratelli

È psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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