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da: Ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Si può mangiare la carne rossa? Il Prof. Michele Rubbini analizza il documento della International Agency for Research on Cancer della Organizzazione Mondiale della sanità

La carne rossa è diventata il nuovo nemico? A questa domanda risponde il Prof. Michele Rubbini del Dipartimento di Morfologia, chirurgia e medicina sperimentale di Unife, dopo la pubblicazione lo scorso 26 ottobre nella versione online di “The Lancet Oncology” del documento del Gruppo di lavoro della International Agency for Research on Cancer (IARC) della Organizzazione Mondiale della sanità, che valuta le conseguenze sulla salute del consumo di carne lavorata (Processed meat) e di carne rossa (Red meat), concludendo che esista una relazione diretta con l’aumento del rischio di ammalarsi di cancro, in particolare di quello al colon retto.
Dopo avere considerato più di 800 studi sull’argomento, il Gruppo di lavoro formato da 22 esperti provenienti da 10 Paesi, ha testualmente affermato che il consumo di carne rossa e di carne lavorata è “ probabilmente carcinogenetico per l’Uomo”, concludendo a maggioranza che “c‘è sufficiente evidenza negli esseri umani per la carcinogenicità del consumo di carne lavorata” ed una “limitata evidenza negli esseri umani per la carcinogenicità del consumo di carne rossa”.
“Va detto innanzitutto – spiega Rubbini – che la relazione tra carni rosse e lavorate con l’aumento del rischio di ammalarsi di cancro, in particolare del Colon retto, fosse già nota da tempo. La notizia ha comunque provocato allarme e sconcerto, ma è stata divulgata in modo tale da generare molti più timori di quelli che effettivamente il documento, se letto con attenzione, può generare, e di conseguenza ha già provocato reazioni affrettate e in certi casi non giustificate, giungendo fino ala proposta di vietare la vendita di carne”.
Perchè il Documento della IARC non rappresenta una novità? E’ risaputo da tempo che il 35% di tutti i tumori hanno una origine alimentare. Nell’ambito di questo il consumo di carne rossa e lavorata è da tempo collegato allo sviluppo di cancro con particolare riferimento al colon retto. La bibliografia di riferimento dell’articolo pubblicato su The Lancet Oncology fa riferimento a 20 voci, 16 delle quali pubblicate prima del 2013 , di cui 9 prima del 2010 e solo 4 datate 2015.
Come dobbiamo leggere e interpretare il documento? Dobbiamo dare la giusta considerazione ai documenti deliberati della IARC e della WHO (World Health Organization). Dobbiamo però anche comprendere bene cosa dicono questi documenti, perché letture superficiali o frettolose possono generare fraintendimenti. Va specificato che i dati provenienti dallo studio del Gruppo di lavoro della IARC non modificano quanto già noto, ma puntualizzano il rischio di ammalare, non il numero o la percentuale di tumori direttamente derivabili dal consumo di carne. La IARC classifica gli agenti in categorie di possibile cancerogenicità, ma non ne stabilisce l’effettiva capacità quantitativa. In pratica dice se un elemento è teoricamente (meccanicisticamente) cancerogeno ma non ne testa la effettiva capacità in termini numerici o di percentuale.
In sintesi il Documento cosa dice? L’intero documento riguarda il rischio di ammalare non la effettiva percentuale di tumori con certezza generati dalla carne. Inoltre il rischio in questione è definito dose dipendente e attribuibile più a sistemi di lavorazione della carne, che alla carne in sè della quale si riconosce la diversa qualità anche dal punto di vista dei grassi contenuti a seconda di vari parametri di produzione, allevamento, conservazione e taglio. Un ulteriore elemento da considerare è il metodo di cottura che risulta fortemente coinvolto nella formazione di sostanze chimiche cancerogene, ma a proposito delle quali si afferma in conclusione che esiste una piccola evidenza che il possibile danno al DNA che queste possono causare avvenga per azione diretta in coloro che consumano carne.
Quale dunque la sua opinione sul lavoro degli esperti della IARC? Ritengo che il Documento della IARC rappresenti una importante puntualizzazione relativa alle possibili conseguenze del consumo elevato di carne rossa e soprattutto di carne lavorata e che debba essere tenuto nella dovuta considerazione, ma che non rappresenti una raccomandazione ad eliminare definitivamente ed irreversibilmente il consumo di tale importante alimento.
Possiamo quindi continuare a mangiare carne? E se si con quali regole o accorgimenti?
La carne rossa andrebbe consumata per un massimo di 300 gr a settimana con sistemi di cottura che, grazie alle innovazioni tecnologiche, possono comprendere anche la cottura alla brace qualora infatti si utilizzino griglie che consentano al grasso di non colare sulla brace stessa e quindi di evitare al massimo la formazione di amine policicliche. Il Documento andrebbe poi considerato al fine di imporre ai produttori ed allevatori alcune regole di produzione, del tipo disciplinare di allevamento, alimentazione, pascolo ecc che possono modificare sostanzialmente la qualità sia della carne stessa che del grasso in essa contenuto. La carne andrebbe poi cotta con aggiunta di rosmarino o altre spezie in grado di limitare la produzione dei composti chimici più pericolosi. Le carni lavorate possono rappresentare un terreno sul quale porre maggiore attenzione favorendo le metodiche artigianali di produzione rispetto a quelle industriali. Massima attenzione alla provenienza delle carni che dovrebbe essere certificata da apposita etichetta con annotazione del tipo di allevamento e di mangime utilizzato; divieto di aggiungere nitrati, nitriti ed antiossidanti alle produzioni di insaccati. Il tutto accompagnato dalla raccomandazione di limitare il consumo a non più di 50 gr al giorno. Richiamare infine sempre la necessità di aggiungere frutta fresca e verdure ad elevato contenuto di fibra e di ritagliare nel corso della giornata almeno 45 minuti o più di attività fisica in relazione alle calorie ingerite.

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UNIVERSITA’ DI FERRARA


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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