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Il vento fa rumore? Si, fa il rumore del vento.
A chiunque sia capitato di camminare in strade di campagna quando c’è il vento sa che è una magia.  Sibila, scricchiola, rantola, sospira e sospira a lungo.
Scompiglia i capelli, gli abiti, entra nelle orecchie, negli occhi, in bocca.  Il vento è anche molto laborioso: rimuove la polvere, pulisce l’aria, spazza via paglia e fieno, distrugge i legni e le tegole marcie, increspa l’acqua del fiume.
Il vento suona campane, carillon, sonagli, giochi dei bambini. Suona anche il gong del tempo che passa e raddensa gli attimi di vita tutt’attorno.
Io che nel vento amo camminare e che, per quel poco che posso, sto continuando a farlo in questi giorni dove il Covid19, qui nel bresciano, sta sconvolgendo la vita di tutti, so che il vento amplifica il silenzio. Quel silenzio interiore che torna indietro nel tempo, si avvolge su se stesso come una vecchia pellicola e restituisce immagini della mia vita, della vita di tutti.

La prima immagine è  quella di un foglio di carta appallottolato che va di qua e di là.  Lo rincorro e lui si avvicina a un tombino, mi chino per prenderlo e lui fa un balzo improvviso e si attacca a un portone dall’altra parte della strada. Mi sposto velocemente per prenderlo e lui si sposta più velocemente di me e si impiglia  tra i mattoni di una vecchia casa. Lo prendo al volo, lo apro velocemente … ci sono delle righe scritte a penna con la biro blu.
Si intitola “errori”:
– Per il mio compleanno ho chiesto una bicicletta rossa ma era meglio la chiedessi Blu;
– Nell’orto ho piantato le more ma sono più buoni i lamponi;
– Ho lavato la mia coperta di lana con un lavaggio troppo pesante e si è infittita.
Il vento sornione e furbissimo, come sempre, cerca di rubarmi la carta, ma io la tengo stretta e comunque adesso so cosa c’è scritto sul foglio e nessuno mi potrà più impedire di ricordarlo.

Cosa faccio ora? chi avrà mai perso nel vento i suoi sbagli? Direi che è un bambino, o poco più. Un bambino che inavvertitamente ha lasciato nel vento il suo cruccio e adesso non lo possiede più. Un dilemma sui colori, uno sul cibo, uno sul tepore mancato: questo mi ha portato il silenzio del vento e questo io provo a capire.  Crediamo che i grandi temi della vita siano il lavoro, la politica, la filosofia, la salute, la morte. Ma forse non è solo così: c’è un sentire quotidiano che è profondissimo nel suo incedere, che è autentico nel suo manifestarsi che è trasparente nella sua capacità di insegnamento. Siamo uomini e donne che amano i colori, che hanno un potente rapporto col cibo che non è solo nutrizionale. Il cibo ha un valore simbolico, archetipico, di appartenenza ad un clan. Siamo uomini e donne che non vogliono stare al freddo, che hanno un forte istinto di protezione verso le intemperanze climatiche, che vogliono il conforto del sole. In queste considerazioni è racchiuso il senso del nostro primordiale bisogno e il senso del nostre cercare archetipico e ideale. Credo che l’idealità si sia sempre nutrita e si nutra tutt’ora del sentire e non viceversa. Il  sentire nutre il pensare, il raccontare, lo scrivere, l’inventare. Il sentire è la linfa dell’esistere e la nostra società con la sua forte tendenza a deprivarlo ci toglie della vita vera, ci restituisce mediocrità.

Il tempo ruba il foglio di carta perso dal bambino, da tutti i bambini del mondo e il vento dei ricordi riavvolge la sua pellicola per un po’ e poi si ferma. Rotola qualcosa tra i miei piedi.

Cammino su un sentiero di campagna, come faccio sempre quando c’è il vento, e trovo mescolati ai miei passi dei baci. Non so chi abbia perso sul sentiero della mia vita quei baci. Baci che qualcuno avrebbe voluto regalare ma che forse non ha potuto, baci abbandonati da una persona distratta e superficiale, baci ricevuti e baci sospirati. Ma comunque baci persi. Non so cosa ci facciano sul mio cammino tali baci. Li ho guardati, raccolti  e messi tra le pieghe del mio maglione. Tra la mia pelle e la lana, tra la mia carne e un po’ d’aria che entra comunque. Ho messo quei baci al sicuro, vicino al posto che mi sembra il più adatto, vicino al cuore. Ognuno di noi ha perso dei baci e in questo ha perso un po’ di vita. I baci di chi lavora troppo e non sa più ascoltare, i baci di chi ha tradito, i baci di  chi è distratto e colpevole, i baci di chi non ha ancora capito che questi piccoli doni vanno dosati e distribuiti con parsimonia e passione. Tra il mio maglione e la mia pelle ci sono i baci che abbiamo perso, che vorremmo, che arriveranno. Baci persi e abbandonati qua e là su un sentiero di campagna che sono diventati  mei insieme a tutte le mancanze del mondo, a tutti i suoi dolori, le sue ingiustizie, il suo infinito e colpevole silenzio ma anche a tutta la sua speranza. In quei baci c’è la ferocia dell’ingiustizia, la pesantezza della colpa ma c’è anche la gioia della scoperta. I baci sono sulla mia pelle. Il vento mi ha portato baci con tutto il loro potere vivifico, con tutta la loro incommensurabile capacità esplicativa, simbolica e narrativa. Mi metto a correre con i baci tra il maglione e la pelle, sicuramente li salverò e diventeranno per me fonte di grande apprendimento. Prima o poi li regalerò oppure li abbandonerò, li butterò a manciate sulle margherite.

Intanto di nuovo il vento riavvolge la pellicola dei ricordi e riporta il silenzio. Nel silenzio del vento c’è la vita così come la vediamo e così come la vorremmo, c’è il futuro che adesso davvero non sappiamo come sarà, c’è il passato con tutti i suoi ricordi. I ricordi portati dal vento sono quelli autentici, leggeri, profondi e svelati. Sono gli unici che sanno essere contemporaneamente pesanti e leggeri, ma comunque belli e importanti. I ricordi portati dal vento sono parlanti ma sanno rispettare il silenzio. Il silenzio di chi li trova e li costudirà. I baci ricordati sanno confondersi con il  silenzio del loro agente primario, col senso del loro esistere e con la loro possibile realtà. I ricordi silenti portati dal vento parlano in fondo proprio di lui esattamente come un quadro che parla di chi l’ha dipinto, come una danza che vive grazie alla vita di chi la fa, come un parassita dorato e prestigioso che senza di noi morrà.
Il silenzio è il vento e ciascuno di noi lo sa.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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