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di Cristina Boccaccini

Suoni che evocano speranza, gioia, amore, temi che non bisogna mai smettere di cantare e di declinare, soprattutto ora, senza scadere nelle edulcorazioni semplicistiche, offrendo soluzioni per respirare, non effimere bolle di sapone. Rivoluzioni che fanno poco rumore ma con la forza di arsenali nucleari, in grado di abbracciare aree geograficamente e sentimentalmente vaste, imbracciando una chitarra.
E’ questo il progetto di “Delef”, alias Michele Cuccu, cantautore errante, con radici comacchiesi ma rami orientati verso l’America Latina. Per motivi di studio è approdato in Brasile, terra di contrasti e commistioni, dal panorama culturale vivace e variegato, che gli ha dato la possibilità di intraprendere un viaggio musicale tuttora in atto, ancora non impresso su disco, sospeso tra musica popolare brasiliana e canzone italiana, raccontando storie di ingenuità e speranza.

In cosa consiste il progetto Delef?
E’ un progetto in continuo divenire, che vede le proprie origini sonore in un altro gruppo musicale comacchiese, gli Swamp, fondato dieci anni fa, insieme ad altri amici musicisti, tra cui Alfredo Mangherini, che collabora tuttora con me. Nel 2014, arrivato in Brasile, componevo canzoni tra le quattro mura della camera da letto, col solo ausilio di una chitarra classica e della mia voce. Sono tornato in Italia un anno fa e ho registrato i brani grazie all’aiuto del producer di musica elettronica Andrea Ferroni. Da poco si è aggiunto al progetto anche Michele Baroni, che si occupa delle percussioni.

Come funziona per te il processo creativo?
Il processo creativo costituisce un bisogno di espressione a cui non posso sfuggire. La libertà è essenziale per la creatività. Di solito sviluppo prima la melodia, partendo da un accordo sulla chitarra, poi passo alla voce, infine ai testi, attingendo da poesie mie che cerco di adattare di volta in volta alla struttura musicale.
Nell’immaginario collettivo la musica popolare brasiliana (MPB) è associata all’idea di festa e celebrazione della gioia. Mi piace costruire canzoni in cui pulsi la varietà e l’energia dei ritmi tipici del Brasile, su cui inserire melodie di sapore allegro o malinconico. Il tutto con un’attenzione particolare alla contaminazione tra suoni e culture diverse, una sorta di cannibalismo culturale, tendenza insita nella stessa cultura brasiliana, la cui tradizione si ciba spesso e volentieri di influenze esterne da parte di popolazioni come quelle americane, africane ed indigene, per poi rielaborarle.

I testi di cosa parlano?
Ho scritto iniziato a scrivere testi in portoghese mentre ero in Brasile, ma quando per motivi burocratici sono stato costretto a tornare in Italia, ho adottato l’italiano. Le due lingue fanno parte di me, in un modo o nell’altro, e le ho utilizzate per veicolare un messaggio di speranza. Nella canzone Tempo dei sogni, ad esempio, dico che essi possono essere rincorsi e vissuti, la chiave sta nella nostra forza di volontà. In una società che può essere quella italiana, come quella brasiliana, in cui i media ci bombardano quotidianamente al suono della parola “crisi”, è necessario che i giovani come me trovino la forza per far sentire la propria voce e contrastare la stasi attuale, portando avanti una rivoluzione non violenta che passa prima di tutto dall’interiorità del singolo: spogliarsi delle paure e dei pregiudizi, per abbracciare l’altro da noi, lasciandoci andare tra le sue braccia, come canto in Nos Seus Braços.

A proposito di altro da noi, anche il tema della diversità ti è caro.
Sono affascinato dalla diversità, in tutte le sue forme. Ritengo che essa vada il più possibile rispettata e apprezzata, sia dal punto di vista politico, attraverso l’attuazione di un piano ben preciso che miri all’integrazione tra popoli differenti, sia dal punto di vista culturale, cercando nel nostro piccolo di aprire gli occhi e utilizzare colori e lenti diverse da quelle che utilizziamo di solito per guardare il mondo. Ne usciremmo arricchiti di nuove esperienze, come dopo aver visitato terre sconosciute.

Un altro tema che emerge dalle canzoni è quello del viaggio, nella sua accezione fisica e spirituale.
Da viaggiatore penso che bisognerebbe viaggiare soprattutto per la stessa ragione del viaggio, più che limitarsi a raggiungere una meta. Una volta arrivati a destinazione, il traguardo avrebbe un sapore neutro se non avessimo precedentemente percorso con occhi consapevoli il sentiero che ci ha portato a conoscere persone, acquisire abilità, ricevere stimoli e aprire nuovi orizzonti. E’ vero che il viaggio allontana da casa e dalla quotidianità, ma allo stesso tempo chiarisce quesiti che la riguardano. Quando in Boa viagem scrivo “buon viaggio”, mi riferisco a tutto questo.
Anche chi non ha mai varcato i confini del proprio paese natale può rispecchiarsi nelle mie canzoni, poiché ognuno di noi sta percorrendo quotidianamente la propria strada, costellata da più o meno ostacoli. A questo proposito, personalmente, alle sterili lamentele gratuite, preferisco le proposte costruttive, e le soluzioni supportate dalla volontà di mettersi in gioco giorno per giorno. Infatti dai miei studi universitari di design ho imparato che i problemi possono risolversi attraverso la ricerca di punti di vista alternativi, la collaborazione reciproca e l’intenzione di costruire opportunità che vanno al di là della nostra comfort zone, e che mirano al miglioramento. Questo vale sia all’interno del microcosmo aziendale, sia in quello cittadino, che personale.

Non ritieni che questo sia un punto di vista piuttosto ingenuo?
Al contrario, faccio dell’ingenuità la mia arma di difesa contro la complessità del mondo, pur avendo una percezione chiara di ciò che sta accadendo.
Cerco di reagire a esperienze apparentemente fallimentari, o cogliendone gli aspetti positivi o trasformando quelli negativi in terreno fertile per poesie e canzoni, in un esperimento musicale che fa vibrare sia le corde più giocose del bambino che quelle più mature del giovane adulto.
La coesistenza tra disincanto e meraviglia si ritrova anche nelle grafiche che ho creato per accompagnare il futuro disco: si tratta di disegni realizzati a carboncino raffiguranti personaggi stilizzati che si muovono su sfondo arancio e azzurro. Elemento centrale è una mongolfiera, su cui è disegnato un cuore, a rappresentare la natura romantica delle relazioni interpersonali, nonché quella in continuo movimento dell’esistenza stessa.

Suonerete mercoledì 29 marzo al Korova Milk Bar di Ferrara. A tal proposito cosa dobbiamo aspettarci?
Trattandosi di uno degli spettacoli cosiddetti “Impianto zero” organizzati dal Korova, per l’occasione assumeremo un assetto acustico e minimale, con me alla chitarra e alla voce, e Alfredo al mandolino, senza l’utilizzo di amplificazione o effetti elettronici, al fine di offrire al pubblico un’esperienza intima e autentica.

Prossimi progetti?
Passare dall’ essere un gruppo “del mercoledì sera” che si ascolta distrattamente durante l’aperitivo, all’essere un gruppo “del sabato sera”, le cui canzoni possano far ballare e gioire insieme.
In questo senso stiamo lavorando per sviluppare maggiormente la componente elettronica del progetto, nonché quella delle percussioni, per ottenere un risultato di dinamismo, senza soffocare l’alchimia e l’atmosfera create dal dialogo tra chitarra e mandolino. La priorità rimane portare alla luce il primo disco Delef.

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Redazione di Periscopio


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