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Mentre vado all’appuntamento rifletto. Come al solito avevo frainteso il tema. “Se solo non fossi sempre così precipitoso nelle conclusioni”, mi dico. La verità è che quando la lingua va più veloce del pensiero si rischia di prendere delle cantonate. Non mi considero lento di comprendonio, intendiamoci, è che spesso il desiderio e l’entusiasmo mi suggeriscono cose inesatte, ma fa nulla…
Credevo si parlasse di quella relazione ideale ed esclusiva che intercorre tra l’arte e la letteratura, di quel connubio oltremodo creativo tra scrittura e pittura che da sempre mi appassiona. Era il motivo per cui ho deciso di andare, ma mi sono sbagliato, il tema è tutt’altro. L’argomento del seminario riguarda il tempo.
Il tempo in tutti i suoi significati, noti e meno noti, in tutte le sue espressioni, interpretazioni e definizioni. Il tempo come fenomeno scientifico, come esperienza letteraria, ma soprattutto nella sua suggestione pittorica. In effetti arte e letteratura c’entrano eccome, anche se il vero protagonista è il tempo, appunto.
Ho trascorso un’ora e poco più ad ascoltare una dotta dissertazione sul ruolo che la corrente pittorica inventata da de Chirico più di un secolo fa, la Metafisica, ha avuto nella rappresentazione ideale del tempo. E certamente il capace docente non ha perso tempo a elencarne i principali aspetti, osservando e analizzando gli esempi pittorici che de Chirico ha voluto legare alla sua idea del tempo, giusto il tempo di un’ora, all’incirca, parlando rapidamente e guardando un paio di volte l’orologio, il tempo è prezioso.
Se non altro ora posso affermare, con meno incertezza di prima, che il tempo passato ad ascoltare l’interessante lezione è servito a comprendere una volta di più che a tutt’oggi nessuno può spiegare con assoluta esattezza, ne mai lo potrà, che cosa sia il tempo!
Il tempo lo nominiamo tutti, sempre, in ogni situazione, appioppandogli usi e significati a seconda del momento. Che tempo farà domani? Farà brutto tempo. Il tempo di arrivare. C’è un tempo per vivere e un tempo per morire. Non riuscire a fare in tempo.
In effetti sto prendendo tempo, non mi è ancora chiaro cosa dire, poiché il tema è sconfinato e il termine è sfuggente. Il tempo poi, come sappiamo, è tiranno.
Però diamo tempo al tempo e verrà il tempo di capire che leggere queste righe, alla fine ne sono convinto, non è stato tempo sprecato. Certo, qualcuno potrà pensare che questo giochino attorno alla parola tempo abbia fatto ormai il suo tempo, perciò facciamo un passo indietro e torniamo a de Chirico e al suo paradosso: com’è mai possibile, ci si domanda, poter fissare in una tela statica l’immagine ideale del tempo quando il tempo è, per definizione, dinamico? Forse la risposta può essere quella di rappresentarlo annullandone i presupposti? Intanto non facciamo l’errore, per carità, di considerare il tempo come fosse un concetto astratto o una convenzione: il tempo esiste, esiste eccome! Solo che tra le cose esistenti, scientificamente riconosciute e conclamate dalle leggi della fisica, è l’unica cosa che non si può né vedere né toccare, ma c’è, da sempre e dappertutto. È grazie al tempo e al suo incessante procedere in un’unica direzione che il mondo tangibile, quello in cui viviamo, esiste. In altre parole, l’esistenza del tempo determina l’esistenza di tutto il resto.
Il tempo quindi è indissolubilmente legato all’azione, all’evoluzione, alla trasformazione, al moto e, dulcis in fundo, allo spazio in cui l’azione stessa trova dimora. E allora perché nelle opere di de Chirico tutto appare così immobile, inanimato, sospeso?
De Chirico è un artista estremamente rigoroso, come direbbe la mia professoressa di storia dell’arte è un pittore figurativo, uno che dipinge rispettando i canoni della percezione visiva della realtà: la prospettiva, le ombre, le proporzioni, le figure, gli oggetti, i paesaggi, tutti questi elementi rispettano le regole date dalla raffigurazione classica della realtà, decisamente agli antipodi da ogni forma di astrazione. Eppure, ciò che de Chirico ci fa vedere non è affatto un mondo reale.
È questo il punto: come si può pretendere di rappresentare il tempo, e il dilemma che lo riguarda, offrendo allo spettatore un pezzo di realtà? Non si può, ma ecco l’idea: l’unico modo per rubare un’immagine del tempo è quello di aggirarlo, fuoriuscirne. Se la realtà tangibile ne è intrappolata e soggiogata, esiste un piano in cui il tempo non ha alcun potere, in cui è addirittura possibile contemplarlo senza doverlo rincorrere o doverne fuggire: questo piano è il sogno. Il sogno concepito come ambiente di coltura di tutto ciò che è inconoscibile, misterioso, vago, enigmatico.
In fondo, de Chirico non vuole svelarci alcunché, non ha alcuna intenzione di darci spiegazioni, interpretazioni o teorie psicanalitiche di sorta, ragionamenti filosofici o quant’altro. Nei quadri di de Chirico non c’è nessuna ambizione di rappresentare una verità rivelata, una visione alternativa e inconscia, come invece capita nelle opere dei surrealisti che analizzano e teorizzano e che a torto vengono accostate alla metafisica, c’è altresì l’apertura a una visione del mondo fatta di suggestioni in cui ognuno può riconoscere se stesso dandosi le risposte che crede. Una visione del mondo che non vuole sostituire il reale, semmai accompagnarlo e oltrepassarlo, e pure ampliarlo con le sue suggestioni: un meta-mondo per l’appunto. Per ovviare all’impossibilità di dare una forma riconoscibile al tempo, paradossalmente de Chirico ci trasporta in una dimensione, quella interiore, in cui il tempo è assente. In tale dimensione, una volta liberati dal vincolo temporale, dove passato e futuro si mescolano in un eterno presente, possiamo abbandonarci alla contemplazione e alla meditazione, l’unica azione consentita quando l’attimo corrisponde di fatto all’eternità.
Si parla di enigmi quindi. Il tempo, il sogno, l’esistenza, l’eternità, tutto ciò che è considerato assoluto in fondo è e rimarrà sconosciuto. Possiamo almeno sperare di afferrarne un pezzetto e cercare di comprenderlo gongolandoci per la nostra perspicacia, senza illuderci troppo però.
Alla lezione non si è parlato di queste cose, per cui mi scuso con chi credeva il contrario, queste sono solo mie riflessioni che non hanno nessuna pretesa di verità. Quella in cui mi sono venuto a trovare era una normale lezione d’arte, in cui sono stati descritti e commentati dei quadri con un paio di interessanti sconfinamenti tra poesia e narrativa, quel tanto che bastava per sviluppare poi un minimo di dibattito alla fine dell’ora. Bravura e competenza del docente non sono affatto in discussione, ma al solito me ne torno a casa con l’amaro in bocca.
Per adesso credo sia tutto, come si dice, il mio tempo è terminato.

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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