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Mi ero soffermato davanti alle vetrine di un negozio di jeans di via San Romano: nessuno sforzo, a Ferrara più che jeans non si vende altra merce, forse le scarpe, la fantasia dei commerciati si è come obnubilata. Vicino a casa mia era stata aperta una cartoleria bellissima, la cui esercente era mia amica, la quale un giorno mi ha detto: “chiudo, ho trovato un posto come impiegta”. Ha chiuso, è arrivato al suo posto un bombardiere cinese, il quale ha riempito il locale delle cianfrusaglie di plastica al petrolio, di cui sono sommi produttori, tutti oggetti che vanno nelle mani e nelle bocche dei bambini o nei piedi dei grandi. Perfetto. Ho domandato al cinese se i jeans sono italiani o cinesi e lui subito “italiani, italiani”. E che cosa significa ‘jeans’, chiedo ridendo. E lui “stoffa, stoffa”. Jeans, gli dico pazientemente “è la pronuncia americana di Genova. La stoffa jeans la portò oltreoceano Giuseppe Garibaldi, che ne aveva bisogno per vestire con una sola divisa i marinai coi quali stava combattendo in Sud America. La trovò a ottimo mercato a Genova, era la tela per le vele. Dove hai preso tutta questa stoffa? Domandarono al grande anarchico. A Genova, fu la risposta. Dove? A Genova, Genova, non capisci? Ah, risposero i suoi marinai, Jean, sì Genova, Jeans”. E si fecero i pantaloni. Per la camicia bastava una maglietta rossa, allora non si aveva paura del rosso. Anzi.
E così nessuno in Italia sa che ‘jeans’ non è altro che la traduzione in americano di Genova e sa che i jeans sono stati i pantaloni che hanno accompagnato, almeno in parte, il Risorgimento. Non è problema. In un paese che definisce una bella parola ‘petaloso’, che è uno dei termini più orribili che siano stati coniati, brutto e a prima vista anche volgare – sinceramente quando l’ho sentito ho pensato subito a uno che fa i peti: Oh, guarda un po’, mi sono detto – in questo paese può tranquillamente succederere che non si sappia nulla del nostro passato, anzi meglio così. Così guardavo i jeans.
“Chi essele Galibaldi?”, mi chiede il cinese prima di scomparire nel negozio. “Boh – gli faccio – uno che credeva di fare una rivoluzione”. In quel momento si ferma accanto a me una distinta signora, mi par di averla già vista. Lei mi guarda e spudoratamente mi chiede: “Non mi riconosci? E dài, sono la tua coscienza. So cosa stavi pensando prima di infognarti nello strano ragionamento politico risorgimentale: stavi pensando se devi andare a votare, per la primarie, poi, più avanti, per le elezioni politiche e poi…e poi… avete sempre elezioni in Italia, ma è come se non ci fossero, perchè i nuovi governi nati dalle ultime votazioni sono uguali ai precedenti. Guardate il Presidente del Consiglio Renzi, ha detto “Rottamo tutto!”, ma si è dimenticato di rottamare le idee più stupide sulle quali si è arrangiata l’Italia. Lo stagno, vedi, si ricompone immediatamente. I nuovi politici sono cloni dei vecchi. E tu ti metti degli scrupoli? Vai tranquillo, è la tua coscienza che ti parla”. A questo punto mi viene in mente Pascoli e la sua bellissima poesia “La voce”. Che sia di questa signora “la voce”? “C’è una voce nella mia vita che avverto nel punto che muore, voce stanca, voce smarrita, col tremito del batticuore”. Dev’essere proprio di questa bella e malinconica signora che dice di essere la mia coscienza. Me ne convinco alla fine quando Pascoli dice “ma di terra ha piena la bocca “, Zvanì, Speriamo sia solo terra.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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