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Lo so, non è un bel tempo per sognare. Si deve essere brutalmente realistici per sopravvivere in questi anni di crisi a tutti i livelli. Ma può anche succedere il contrario, proprio oggi in cui è difficile trovare una porta d’uscita che ci conduca verso un mondo migliore (relativamente al nostro piccolo mondo), si può sognare di più, osare e abbracciare un’utopia… e poi si vedrà! Di questi tempi è da preferire l’uomo realistico, sobrio, razionale o l’uomo poetico, quello che cammina con la testa nelle nuvole? Chissà, ma la mia scelta è il sognatore, colui che sogna con passione ma sempre ad occhi aperti, come ha detto una volta Joseph Roth. Non si può mai fare qualcosa di concreto, senza un sogno che vada molto avanti, oltre la realtà spesso triste come quella odierna. Detto questo vorrei presentare al pubblico il mio sogno per il futuro di Ferrara. Il mio sogno ha avuto inizio con la visita alla Pinacoteca nazionale al Palazzo dei Diamanti, dove è esposto un quadro di Carlo Bonini (1569 – 1632) dal titolo Santa Barbara.
In primo piano c’è il ritratto della Santa che si staglia sullo sfondo di una campagna collinosa. Nel mezzo, tra Santa Barbara e la campagna, c’è un’impalcatura sulla quale sono ritratti alcuni lavoratori. A cosa stiano lavorando non è dato comprendere, ma mi è venuto spontaneo chiedermi: lo sguardo verso la stupenda campagna viene limitato da quella impalcatura, oppure questa resta inalterata nella sua bellezza? La bellezza dell’arte antica, il mondo di qua e di là dal muro, il Nuovo, una pittura ideale, costringe a riflettere sul passato e sul presente della città per affermare che il futuro, la speranza e da ultimo il sogno, vengono determinati anche dall’analisi critica del presente, come si può imparare da uno dei maggiori pensatori italiani, Giacomo Leopardi. In questo senso, muovo una prima piccola critica alla città di Ferrara: come mai Ferrara, che è strettamente correlata all’opera di Michelangelo Antonioni, uno dei grandi registi del XX secolo, gli abbia dedicato finora soltanto una piazzetta nascosta e la mostra allestita accuratamente proprio al Palazzo dei Diamanti lo scorso anno… bellissima e con una forte eco anche oltre il Po, ma poi non è rimasto nulla. Inspiegabile come mai un patrimonio culturale di questa portata sia stato così poco curato e valorizzato.
All’analisi critica del presente appartiene anche la considerazione di quanto poco venga sfruttato il gemellaggio di Ferrara con Sarajevo, con il loro patrimonio di potenzialità culturali. Forse nemmeno qualcuno dell’amministrazione comunale si ricorda di quell’amicizia ufficiale fra Ferrara e Sarajevo durante l’occupazione della città bosniaca negli anni novanta. A dire il vero, a me pare che questo gemellaggio sia a senso unico: la ricca Ferrara aiuta la povera Sarajevo! Perché Ferrara non può diventare un centro per lo scambio tra le culture italiana e balcanica? Ci sarebbe una lunga schiera di personalità bosniache da coinvolgere: artisti, scrittori, attori, musicisti e giornalisti che certamente arricchirebbero il livello culturale di Ferrara. Negli ultimi anni Sarajevo ha avuto un forte cambiamento culturale, nonostante una crisi sociale molto profondo e persistente. Ancora una critica propositiva volta a migliorare il futuro: come mai non esiste ad oggi un piano preciso per il Teatro Verdi? Perché, mi domando ogni giorno trovandomi vicino all’edifico ferrarese, vedo il cantiere del teatro, ma non mi risulta esistere alcun progetto su come dovrà essere utilizzato dal punto di vista artistico?
Forse il Teatro Verdi potrebbe essere il luogo adatto per istituzionalizzare un vecchio adesso purtroppo fallito progetto come l’ “Ater Forum”, che ha trovato un valido equilibrio tra tradizione e modernità realizzando così uno scambio, un interazione musicale tra moderno e classico, tra Frescobaldi, il jazz e la musica mondiale. Trovare un giusto equilibrio tra la passione per l’antico e la tradizione, il coraggio di rinnovarsi e di sperimentare, Ferrara un grande tesoro dell’ arte rinascimentale e allo stesso tempo un Cantiere per l’arte moderna, questo deve resta uno dei compiti dell’avanguardia culturale ferrarese.
Tutto aria fritta? Solo fumo, sognare nelle nuvole? Ma senza un’utopia, senza un sogno ad occhi aperti, non si può fare un primo passo per andare avanti. Tutto insieme, la bellezza che si trova a Ferrara in ogni vicolo, l’apertura curiosa verso il mondo e una cantiere permanente per nuovi progetti culturali – come si evince dal quadro del Bonini – questo sarebbe il sogno ferrarese di uno straniero con un piede fuori e un piede dentro la città. Ferrara ha ancora una forte potenzialità culturale da trovare e da curare. Per vederla talvolta si deve solo sognare a occhi aperti…

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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