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Giovanni era un vero sognatore, o forse persino un visionario, tanto che gli amici del bar lo avevano soprannominato “Fantasia”.
Coltivava un piccolo orticello nella zona adiacente alla bocciofila del centro anziani, anzi fu proprio frequentando il centro “Curiel” che gli venne affibbiato quello strano soprannome. Tutto iniziò quando una mattina arrivò di corsa tutto trafelato asserendo di aver assistito durante la notte ad un invasione aliena……per la verità aveva solamente raccontato di aver assistito, durante una delle sue notti insonni, ad uno strano inseguirsi di luci sopra il cielo di Ferrara, che lui narrava con quella fantasia tipica delle persone come lui, malinconiche ma con un animo talmente vivo tale da immaginarselo come un esplosione di colori.
Infatti, Giovanni la notte dormiva davvero poco, ma, al contrario, leggeva tanto, da saggi complicatissimi di economia aziendale a romanzi e poesie, in particolare amava Gabriel Garcia Márquez ed il suo narrare di mondi cosi forti e fantasiosi, dal sapore tanto romantico come amaro, lo amava al punto di interrompere importanti tornei di briscola per intrattenere gli amici del centro anziani con il racconto dal vago sapore marqueziano,suscitando, forse a ragione, un grande disappunto tra gli amici.
Egli curava il suo orto con l’identico amore con cui si immergeva totalmente nella lettura dei suoi romanzi preferiti, provava un piacere quasi carnale nell’osservare la crescita e la maturazione degli ortaggi che seminava, e con la stessa passione provava orgoglio a donare agli amici il frutto del suo sudore, infatti Giovanni viveva da solo e non riusciva a mangiare tutto quanto egli coltivava, aveva avuto in gioventú una compagna con cui aveva costruito un progetto di vita in comune, ma purtroppo la sua eccessiva fantasia gli aveva provocato il repentino allontanamento della stessa. Si narra, infatti, che una sera egli rincasò oltre la mezzanotte e dopo le giuste richieste di avere delle spiegazioni lui giustificò il suo ritardo dicendo di essersi perso ad osservare il corteggiamento di due svassi nel vicino stagno e che, non potendo dimostrare la sua affermazione la Francesca (cosi mi pare si chiamasse la compagna di Giovanni) decise che l’uomo non meritasse la sua compagnia e lo abbandonò al suo destino. Tale storia poi, nel corso degli anni, subì tante modifiche per cui gli amici amavano deriderlo affermando che il buon Giovanni non fosse capace di “amare” le donne.
Nel corso del tempo il nostro amico aveva attrezzato il suo orticello di tutti quegli oggetti che gli consentissero di ottenere risultati sempre più strabilianti, aveva persino costruito con le sue mani un capanno per gli attrezzi, una solida costruzione in muratura di circa 10×7 metri che si ergeva per un altezza di 4 metri, completo di tutto. Giovanni, era talmente orgoglioso della sua realizzazione che l’aveva fatta fotografare da un amico e aveva concesso persino un intervista con foto ad un giornaletto locale, in cui veniva descritto come un fantasioso ortolano amante della filosofia e della letteratura, articolo che aveva ritagliato e messo orgogliosamente in una cornicetta esposta nella cucina di casa sua.
Ultimamente, però, era diventato un po’ più strano, frequentava un po’ meno il centro anziani e quando vi andava non amava più interrompere le partite di briscola con i suoi racconti, stava spesso da solo nel suo orto e la notte restava sveglio ad osservare le stelle.
Gli amici erano molto preoccupati, ed una sera di metà maggio, approfittando del caldo di un estate che stava prepotentemente affacciandosi con le sue calde serate, decisero di andare a casa sua a fargli visita per verificare di persona che egli non avesse problemi seri, di cui, magari, non aveva desiderio di parlare.
Decisero di partire subito dopo cena armati di un paio di bottiglie di lambrusco fresco, percorsero velocemente il viottolo che dal circolo di cui erano soci conduceva nella piccola palazzina di periferia in cui abitava l’amico. Era una piccola abitazione di due piani costruita negli anni sessanta, con una vistosa insegna di un bar una volta frequentato dagli stessi amici ed ora, ormai, solo meta di extracomunitari che purtroppo animavano il quartiere con continui litigi e schiamazzi, le scale di casa di Giovanni erano scarsamente illuminate e conducevano in un terrazzino, un tempo destinato al suo orto casalingo ed ora luogo delle sue elucubrazioni notturne. Suonarono il campanello liso e consumato dagli anni come il suo proprietario e salirono le scale, entrando,dopo grande sorpresa di Giovanni, nel suo appartamento.
Cominciarono a discorrere e a scherzare, ridendo e ricordando gli anni in cui la loro allegra compagnia si radunava per andare al lido di Spina per cercare le ragazze nelle balere del litorale, mentre si raccontavano il viso di Giovanni, per solito molto radioso, si incupiva sempre piú riempiendosi di tratti tristemente malinconici, al punto che spinse gli amici a chiedere il motivo di questo improvviso incupimento.
Dopo un primo momento di chiusura e di sostanziale rifiuto a dare spiegazioni, improvvisamente il nostro diventò come un fiume in piena ed iniziò a raccontare delle sue ultime letture, non più filosofiche ma scientifiche, raccontò che leggendo siti specializzati era venuto a conoscenza che il territorio ferrarese considerato tranquillo dal punto di vista sismico, in realtà aveva vissuto in un lontano passato, più o meno tra il 1500 ed il 1600 una serie di eventi sismici devastanti, al punto che nel 1570 Ferrara venne parzialmente distrutta da un tremendo terremoto che portò alla morte persino la duchessa d’Este, ormai Giovanni non lo fermavano più tanto era la passione con cui raccontava le sue letture. Ad un certo punto, però, la voce da stentorea si fece stentata e nel viso dell’amico si manifestarono evidenti segni di paura, che vennero giustificati da una lettura fatta negli ultimi giorni, in cui un sismologo greco affermava che la pianura padana aveva accumulato in quasi cinquecento anni talmente tanta energia che doveva essere imminente un altro accadimento devastante simile a quello del lontano passato.
Gli amici dapprima furono spaventati, poi cercarono di tranquillizzarsi e di tranquillizzare l’amico Giovanni, affermando che non era possibile prevedere simili accadimenti e che in fondo era inutile preoccuparsi per cose con pochi fondamenti scientifici, tutto ciò infastidì il nostro che irritato decise di cacciarli di casa.
Le notti per Giovanni erano ormai diventate una specie di incubo, stava ore sul terrazzo a guardare le stelle cercando di rivolgersi a loro come fossero un oracolo che potesse prevedere il futuro, ed ogni notte era peggio della precedente.
La notte tra il 19 ed il 20 Maggio sembrava che Giovanni fosse molto più calmo, smise di guardare le stelle verso le 2 di notte ed andò tranquillamente a letto, si distese, lesse alcune pagine di un libro di Moravia e si addormentò serenamente, durante il sonno, stranamente e dopo tanti anni di insonnie ripetute, sognò intensamente e si lasciò abbandonare dall’eterea sensazione di essere catturato dalle fate che lo accompagnavano attraverso la sua vita facendogli rivivere sopratutto i momenti felici. Improvvisamente verso le 4,04 sentì una sensazione di vertigine ed ebbe l’impressione che stesse ondeggiando, ma era talmente catturato degli elfi del sogno che non fece molto caso alla sensazione, ma, poco prima di essere di nuovo catturato dal sonno, improvviso, un boato squarciò il labile confine tra la realtà ed il mondo onirico, si svegliò di soprassalto giusto per rendersi conto che casa sua era come fosse attraversata da una mandria di bufali o da un centinaio di treni impazziti, provò ad alzarsi dal letto ma il terrore lo teneva come incatenato alle sue lenzuola, accese la luce e vide i muri della sua palazzina ondeggiare al punto che si convinse che stava crollando tutto, provò a contare il tempo, ma il tempo in quei momenti non si può contare, solo chi ha vissuto i terremoti può capire di cosa si stia narrando, in quegli interminabili 22 secondi circa vide tutta la sua vita attraversargli la mente, ripercorse i suoi errori, i suoi fallimenti e i suoi, pochi, successi, poi, improvvisamente, gli venne alla mente la previsione del sismologo greco e pensò che ormai non c’era più nulla da fare, pensò che la sua bella città, forse, in quell’esatto momento, stava lasciando ai libri di fotografie ed alle memorie dei sopravvissuti la sua storia, pensò che fuori tutto stava crollando, pensò che forse era giunta la sua ora.
Nel preciso istante in cui la mandria di bufali abbandonò casa sua ed i muri smisero di tremare come foglie al vento di un fortunale estivo si ricordò del capanno nel suo orto, così non si preoccupò di telefonare a parenti ed amici per avere notizie, e si precipitò a vedere la situazione, percorse a perdifiato la strada che lo separava da casa non curandosi della moltitudine di persone in strada con gli occhi sbarrati dal terrore che aveva loro interrotto il sonno, avvicinandosi all’orto gli sembrò che non fosse accaduto nulla, poi, come si fosse acceso un lampo improvviso, vide il suo capanno completamente distrutto e ridotto ad un cumulo di macerie, quella costruzione frutto del suo sudore e della sua fatica, la costruzione di cui andava cosi tanto orgoglioso ormai era solamente un ammasso di pietre e calcinacci. A quel punto Giovanni si sedette su una vecchia sedia che teneva nell’orto per i momenti di stanchezza, a guardare quell’ammasso di rottami e di polvere. Nell’osservare quei calcinacci Giovanni perse definitivamente una parte di se, perse la sua visionaria opinione della vita, perse la sua malinconia, perse la sua capacità di riuscire a trasformare le notti insonni in viaggi in mondi fantasiosi con immaginari protagonisti dei suoi romanzi e perse il senso della sua esistenza terrena.
Ancora oggi a distanza di anni si narra che nel piazzale che ora è un parcheggio di un nuovo quartiere costruito dopo quel sisma del 2012 si intravede di notte tra le foschie tipiche di quelle zone un uomo seduto su una vecchia e scricchiolante sedia che guarda il vuoto e che impreca per non aver sufficientemente creduto alle previsioni di uno scienziato il cui nome non è mai esistito nei libri di scienza.

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Stefano Peverin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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