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L’aumento dell’obiezione di coscienza da parte dei medici a livello nazionale e anche nella realtà ferrarese rischia di compromettere l’efficacia della legge 194 sul diritto all’aborto. Il segnale d’allarme è partito dal convegno organizzato dall’Udi – Gruppo Salute Donna sul tema “Una battaglia per la dignità e la salute della donna. Applicazione e verifica della Legge 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”.
Sono emersi problemi nel contempo sono state individuate richieste finalizzate a una migliore applicazione della Legge. Fra i punti critici rilevati anche il rischio che i Consultori familiari e gli Spazi giovani perdano la loro funzione, per la diminuzione costante degli operatori, degli strumenti e dei mezzi necessari per operare soprattutto in termini di prevenzione. Al riguardo è stata espressa la necessità di integrare gli organici e le attività dei Consultori che rappresentano veri punti di riferimento territoriale fra famiglie, scuola, servizi.
Inoltre è stata sottolineato la mancanza di direttive nazionali, in conformità con gli standard dell’Oms, come avviene in altri Stati, circa l’educazione alla salute e l’educazione sessuale. Per avere una formazione soddisfacente in tutte le scuole è necessario sollecitare formazione e coinvolgimento di tutti gli insegnanti, in modo da garantire un approccio multidisciplinare all’educazione della salute e non ridurla ad un capitolo della biologia. L’educazione socio-affettiva, relazionale e sessuale è un impegno da non eludere nel percorso formativo della scuola, perché condizione formativa necessaria, soprattutto in questo tempo, in cui i rapporti sessuali si verificano decisamente in età sempre più giovane.

Il convegno Udi del marzo scorso, svolto alla biblioteca Ariostea, ha visto la partecipazione di Alessandra Kustermann, primaria di Ginecologia della clinica Mangiagalli di Milano, Giuditta Brunelli ordinaria di diritto all’Università di Ferrara e Carlo Flamigni ginecologo e membro del Comitato Nazionale di Bioetica.
Nell’introduzione, Luana Vecchi, coordinatrice del Gruppo, ha sottolineato obiettivi, contenuti e metodologia del lavoro svolto in diversi mesi di indagine e ricerca sul tema che tanto ancora fa discutere. Di fatto, si tratta di una legge votata dal Parlamento e confermata da un referendum, che resta oggetto di notevoli difficoltà applicative, tanto che il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha riconosciuto una violazione dell’Italia in termini di inadempienza di legge nei confronti delle donne che intendono interrompere la gravidanza, principalmente a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori.

Moderatrice dell’incontro è stata Anna Siniscalchi e la sintesi del lavoro è stata illustrata da Loredana Bondi con una serie di slide sul percorso seguito. Il prodotto della ricerca è stato raccolto in una breve pubblicazione distribuita ai partecipanti al convegno.
Il lavoro ha tratto elementi di conoscenza e verifica da studi e statistiche recenti sulla situazione italiana, in particolare della nostra regione e provincia, oltre che da tre focus group condotti rispettivamente con medici obiettori di coscienza e non, con personale dei consultori familiari e consultori giovani, con personale docente delle scuole superiori della città. Agli studenti e studentesse è stato poi sottoposto un questionario, per lo più con domande a risposta multipla, sulla scorta di una versione utilizzata dalla Regione Emilia Romagna qualche anno fa, per un’analoga indagine.

Sul rischio di depotenziare gli effetti delle legge 194 causa in particolare l’aumento dell’obiezione alla pratica da parte dei sanitari, prezioso è stato il contributo offerto dai relatori.
La professoressa Kustermann ha esordito affermando che il primo obiettivo della legge 194/78 è la tutela della maternità e l’aborto ne è solo una faccia. Con un intervento molto suggestivo ha sostenuto che occorre riconoscere al tema della cura delle donne che richiedono l’interruzione volontaria della gravidanza la necessaria dignità scientifica ed etica. Dovrebbe esservi un Servizio ospedaliero per l’interruzione volontaria di gravidanza, per garantire, nel rispetto della legge, un iter semplice, accessibile e sicuro per effettuare l’Ivg, ma nello stesso tempo, offrire sostegno alle donne. Dovrebbe essere per la donna un’occasione di riflessione, di consapevolezza della propria salute sessuale, per acquisire le giuste informazioni o per superare diffidenza verso la contraccezione e, da parte medica, occorrerebbe un atteggiamento non basato sul giudizio o sull’indifferenza, ma sull’empatia. Nella pratica, c’è difficoltà da introdurre qualsiasi iniziativa (più favorevole per la donna) che comporti un aggravio in più per i medici non obiettori, che già si sentono di fare un lavoro “in più” degli altri, senza nessun vantaggio.
Talvolta in alcuni ospedali, la lista di attesa è molto lunga e c’è una preferenza per interventi in anestesia generale, piuttosto che locale (peraltro raccomandata da tutte le linee guida internazionali) sia da parte della donna, che dei medici. Scarso è il “successo” dell’aborto farmacologico (poco richiesto e poco proposto- Ru486). Per quanto riguarda l’aborto terapeutico, in molte regioni d’Italia è molto difficile o impossibile accedervi. Anche nelle situazioni più aperte come nella clinica in cui opera a Milano la Kustermann, è innegabile riscontrare un senso di impotenza o malcelata irritazione di fronte alle donne che abortiscono a più riprese (quasi una su quattro) anche da parte dei ginecologi non obiettori. Sorge poi una sorta di frustrazione nel verificare che molte donne abortiscono per povertà: non abortirebbero se solo potessero avere aiuti economici concreti, servizi sociali, affiancamento. Rispetto alle ragazze che chiedono l’Ivg ( in genere quando si accorgono di essere già gravide) si riscontra solitudine, poca conoscenza di sè, disinformazione e diffidenza per la contraccezione. Non si può dividere il mondo in buoni e cattivi, obiettare è un diritto ma si devono salvaguardare i diritti anche delle pazienti. Davvero incisiva l’invocazione della Kustermann: “Non voglio vivere in un mondo dove i diritti vadano urlati”.

L’intervento della professoressa Giuditta Brunelli ha sottolineato del punto di vista giuridico, che poco è cambiato dal momento dell’emanazione della Legge 194 ad oggi, perché soggetta a continue tecniche di delegittimazione e depotenziamento. Alcune di esse sono purtroppo operative: dal numero insufficiente dei Consultori soggetti a graduale sotto finanziamento, al fenomeno abnorme dell’obiezione di coscienza del personale sanitario e la perdurante impossibilità di accedere all’aborto farmacologico. Le difficoltà applicative della legge, in questi anni sono state davvero molte altre, alcune in via di “di definizione” come l’introduzione di limiti restrittivi nell’aborto terapeutico, la pervicace ”dissuasione attiva” delle donne che intendono interrompere la gravidanza attraverso un uso “fortemente pedagogico” del colloquio previsto dall’art.5 della legge 194 e la presenza di volontari antiabortisti nei consultori. Ha affrontato dal punto di vista giuridico anche il tema della difesa dei “due diritti” fondamentali della persona: quello dell’autodeterminazione e quello alla salute. In materia di aborto terapeutico ci sono da tempo tentativi di restrizione e limitazioni, nonostante la legge preveda esattamente all’art.6, la fattispecie di condizioni nelle quali possa essere effettuato . Un grosso fenomeno da arginare è senza dubbio quello dell’obiezione di coscienza da parte dei medici e del personale sanitario. Le disfunzioni organizzative provocate dal grande numero di obiettori, fa sì che le gravidanze vengano interrotte con un ritardo sempre maggiore, mettendo in pericolo la salute delle donne, costrette spesso a rivolgersi ad ospedali di altri territori o regioni se non addirittura all’estero. Il tema dell’obiezione di coscienza sta ormai debordando dall’interruzione volontaria di gravidanza per investire anche la contraccezione d’emergenza, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”.
L’approccio farmacologico è ancora assolutamente sporadico soprattutto nelle regioni meridionali , e forse c’è il timore che rendendo superflua l’ospedalizzazione obbligatoria , l’uso della RU486 resti nell’ambito privato della scelta e finisca per depotenziare l’obiezione di coscienza. Ritiene essenziale la funzione dei Consultori familiari i quali (al pari della struttura socio-sanitaria o del medico di famiglia) hanno il compito di esaminare con la donna le possibili soluzioni .E’ necessario un loro rilancio , per promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna , offrendole tutti gli aiuti necessari, in termini di prevenzione, di informazione e sostegno. Prevenire l’aborto significa estendere l’educazione , l’informazione sanitaria e la contraccezione, non significa “dissuadere” la singola donna incinta a sottrarsi ad una gravidanza non voluta e non scelta, quando vi siano le condizioni previste dalla legge 194 per eseguire l’intervento abortivo.

Il professor Carlo Flamigni ha esordito affermando che dai tempi più remoti dell’uomo , l’aborto è sempre esistito, un’ombra nera che ha incessantemente seguito la donna nel suo percorso, qualche volta per ucciderla, sempre per angosciarla. Richiama un articolo recentemente apparso su un settimanale ad orientamento cattolico, dove si riconduce l’attuale” inverno demografico” del paese all’aborto, come problema con grave responsabilità sul piano sociale. Non può che confermare che la prevenzione in materia di aborto significhi fare educazione sessuale, un uso attento e responsabile dei mezzi contraccettivi adeguati. Dopo una breve dissertazione sulle modalità di convincimento e le diverse impostazioni del problema da parte del mondo religioso per portare avanti comunque la gravidanza, ritiene che a tale presunzione non vi sia alcuna giustificazione scientifica. Si tratta di una verità relativa resa particolarmente illuminata dal buon senso, secondo cui ogni volta che si crea un conflitto tra la salute di un donna e la vita dell’embrione, va privilegiata la salute della donna come ha sostenuto la Corte Costituzionale. Ricorda poi l’approvazione del Comitato dei diritti sociali del Consiglio europeo, che ha riconosciuto la violazione da parte dell’Italia della legge 194 in particolare per la parte relativa alla Ivg. Ci sono città e regioni che hanno il 90% di medici obiettori e il fatto costringe molte donne a cercare soluzioni alternative. Rispetto all’obiezione si configura un diritto alla “disobbedienza” incongruente e ciò si traduce come la legalizzazione di una pretesa inosservanza delle leggi che può trovare, se mai, solo una giustificazione etico politica e quindi extra giuridica. Una bizzarria dello Stato che riconosce a qualcuno, il diritto all’inosservanza delle proprie leggi perché ritenute immorali. Si tratta di trovare una soluzione: la regola morale non si basa sui dettami della dottrina di una religione, ma è in continuo movimento e si basa essenzialmente sulla formazione delle coscienze. Arriva ad alcune conclusioni:1) la formazione della morale di senso comune dev’essere uno dei sui quali la nostra società si deve cimentare con particolare impegno; 2)la promozione culturale di questi temi dovrebbe essere affidata ad una bioetica descrittiva, capace di consentire ai giovani di ragionare sulle varie posizioni morali esistenti, confrontarle e scegliere quella che ritengono migliore. Di questo si dovrebbero occupare i Comitati per la bioetica, cercando di monitorare le modifiche del sentire comune che si verificano nella nostra società, facendosene carico. L’ampia dissertazione dei relatori sul tema, ha consentito di approfondire, da diverse angolature , un problema complesso che, in ogni caso, conduce a serie riflessioni sull’applicazione della legge 194 e su tutti i risvolti che ad essa si riconducono perché toccano fortemente la vita e le scelte delle donne. Sostanzialmente si è delineata la necessità di porre con forza, ancora una volta, l’attenzione su alcuni aspetti della legge che vanno ricondotti alle Istituzioni per chiederne l’effettiva applicazione e l’UDI resta in primo piano nella battaglia per la salute e la dignità delle donne.

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di Piermaria Romani

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