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Ecco di seguito le dieci tesi di Marco Morosini, scienziato ambientale italiano e docente del Politecnico federale di Zurigo/Eth, sul Pd.

1. Il digitale è struttura: è il core, l’ideologia unica del partito.
2. Il partito è elitario, perché possono votare solo gli users.
3. Il partito è tecnofatalista: sarà la tecnologia a rendere necessario e inevitabile che il popolo si governi da solo.
4. Si arriverà a una concentrazione di potere come mai è esistita nella storia.
5. Il potere non è nei soldati ma nei dati.
6. La rete rende possibile la manipolazione dei dati.
7. Il partito è autocratico.
8. Quello della rete non è un potere liberatorio ma un martello per martellare.
9. Il partito è maschio, come si era già capito da tutto quanto detto fin qui.
10. Il digitale è il nuovo atomico.

Ma cosa avevate capito? Il Pd cui si riferisce Morosini non è certo il partito democratico di Renzi&co., ma il partito digitale come si è venuto a strutturare nella realtà italiana: il Movimento 5 stelle. E lui ne sa qualcosa dato che, per sua stessa ammissione, può essere considerato l’alter ego politico di Beppe Grillo: per 26 anni “io ho tentato di insegnare a lui la serietà e la pesantezza, mentre lui cercava di insegnarmi la leggerezza”. Se il partito digitale, o meglio la sua versione italiana, “è un auto con il motore ecologista di sinistra e la carrozzeria e il volante di destra, populista”, Morosini si assume la paternità solo del motore, dell’occasione di “avviare per la prima volta in un paese del G7 una transizione ecologica e sociale”. Non certo “del cavallo di Troia per dare un colpo all’Europa dall’interno”. “Dove le devo inchiodare secondo voi le mie dieci tesi?”, scherza Morosini con il pubblico.

Lo scienziato e giornalista parla all’incontro di Internazionale ‘Il digitalismo politico’, che sabato pomeriggio nonostante la pioggia ha riempito più di un’aula del dipartimento di economia e management di Unife, tante erano le persone in fila in via Voltapaletto. Insieme a lui c’è un altro esperto del Movimento 5 stelle: il giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni, autore di ‘L’esperimento’ (Laterza), nel quale le origini del partito digitale italiano vengono rintracciate in un esperimento di ingegneria sociale iniziato da Casaleggio padre molti anni prima di diventare una realtà, pubblica, votabile, addirittura in lizza per il governo del Paese.

A detta di Morosini, Casaleggio e Grillo in realtà non hanno inventato nulla di nuovo: il digitalismo politico è nato nella Silicon Valley, “quando i valori libertari della cultura hippie californiana si sono intrecciati con gli yuppie dell’industria hi-tech, che avevano avuto successo ed erano usciti dai loro garage”.
Tornando alle sue tesi: il partito è elitario, perché possono votare solo gli users, considerando che “solo in Italia abbiamo il 47% di analfabetismo digitale, torniamo indietro di almeno cent’anni”; “il potere non è nei soldati ma nei dati, o meglio nei big data”; “il partito è autocratico, ci sono pochi colonelli e tutti sono informatici, nessuno è stato eletto”.
La sua profezia, non molto ottimista, è che “ci dobbiamo preoccupare di quello che ancora ci aspetta”: “Il digitale è il nuovo atomico stiamo andando verso una Chernobyl diffusa e nessuno se ne sta accorgendo”, “il digitale sta cambiando sì la specie, ma in peggio”.

Da sinistra Marco Morosini e Jacopo Iacoboni

Iacoponi, dal canto suo, è meno oracolare e più materiale, ma certo non meno pessimista, tanto da esordire con la notizia che “Tim Berners Lee, inventore del world wide web, sta mettendo in piedi una nuova start-up perché secondo lui bisogna rifare Internet da capo”.
Secondo lui la grande intuizione di Casaleggio è “aver applicato alla politica il detto che se qualcosa è gratis è perché la merce sei tu”. Dato che “il partito è gemmato direttamente dall’azienda Casaleggio e dalla piattaforma Rousseau”, ci sono infatti molte domande riguardo l’utilizzo dei dati e la profilazione e la targetizzazione degli utenti alle quali non è mai stata data risposta. E poi c’è un problema di conflitto di interessi 3.0: “a quale titolo per statuto tutti i parlamentari eletti devono versare 300 euro al mese alla piattaforma Rousseau, che è un’associazione privata? Come vengono usati questi fondi”. Insomma il Movimento sarebbe “un animale pericoloso perché è concepito come strumento neutro, come strumento di costruzione del consenso, che può essere indirizzato verso diversi obiettivi”, non a caso ultimamente ha virato molto a destra, perché “si regola con gli strumenti del web marketing, i sondaggi e i social media, e quindi va dove va il consenso”. Eppure, sottolinea Iacoponi, “non cadete nell’equivoco di considerarlo una cosa effimera e cialtrona”: ci sono le personalità di facciata “selezionati per recitare ruoli, dal belloccio Dibba al moderato di Maio, mentre Fico è quello più a sinistra”, ma dietro ci sono quelli che furono “i collaboratori di Casaleggio, molto intelligenti e competenti, se dovessi costruire un partito mi rivolgerei proprio a loro”.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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