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Il modo di fare giornalismo è sostanzialmente cambiato negli ultimi anni, è noto a tutti. Fra le competenze richieste alle emergenti figure giornalistiche c’è la capacità di destreggiarsi nella miriade di informazioni che il web propone, individuando le fonti giuste e distinguendosi perciò dai semplici ‘megafoni’ della rete.
È in questa prospettiva che si colloca il profilo del data-journalist, moderno giornalista che correda alla notizia mappe, grafici ed elementi interattivi. Un facilitatore, un creativo con il preciso compito di rendere la notizia il più appetibile e originale possibile.
Alberto Nardelli del Guardian e Jacopo Ottaviani, due affermati esempi italiani di questa nuova pratica, sono stati protagonisti dell’evento “Perché le storie hanno bisogno di dati” del Festival di Internazionale.

Ecco che la notizia riguardante l’aumento del salario minimo in Portogallo, invece che essere raccontata nel modo più tradizionale, può prendere vita: analizzando l’indice dell’Economist che registra il costo del Big Mac (sì, quello di McDonalds) per ogni singola città, si può comparare la situazione del salario minimo del Portogallo con la situazione di altri Paesi sulla base di quanti Big Mac ci si può permettere in vari luoghi con salari minimi differenti. Un progetto creato e spiegato da Nardelli, il quale precisa che “l’importante sia il cambiamento dell’originalità della notizia, proporla in modi differenti dal normale”.
Ma gli esempi di questi progetti si sprecano: dalle mappe interattive che indicano l’andamento delle elezioni politiche per ogni distretto votante dell’Inghilterra, calcolate in base al numero di seggi, trend elettorali e possibili coalizioni sempre illustrata da Nardelli, si passa alla possibilità di visualizzare una mappa dinamica che registra la dispersione scolastica in Italia comparandola con altri Stati europei, o ancora il numero di investimenti cinesi in Africa e l’importo in miliardi di dollari che circola in ogni singolo Paese. Questi ultimi due esempi sono stati proposti da Ottaviani, il quale ha spiegato che “le mappe sono una miniera d’oro di storie, possiamo analizzare interi fenomeni nei minimi dettagli semplicemente ‘zoomando’ sulle mappe geografiche interattive”.
Ma come lavora un data journalist? Entrambi gli ospiti hanno indicato l’estrema importanza della collaborazione redazionale e del team di lavoro, necessario per coprire ogni ambito che richiede un lavoro di qualità come designer, sviluppatori, esperti di statistica e di ricerca, oltre ovviamente alla scrittura. Allo stesso modo, il data journalist deve sempre tenere in considerazione la riproducibilità del proprio lavoro anche su dispositivi mobile (oramai i più utilizzati dagli utenti) rendendo il prodotto multi-piattaforma.
Sulla questione dei troppi dati della rete e dei possibili errori che si potrebbero commettere nella creazione di mappe statistiche, Nardelli ha ricordato come “l’errore ci sta sempre, l’importante è tuttavia fare moltissima attenzione ai numeri e alle loro origini, e trattare i dati senza pregiudizi con un approccio  il più oggettivo possibile. Le situazioni emotive – ha continuato – sono già insite nei complessi fenomeni che consideriamo, come per esempio l’immigrazione, la bravura del data journalist sta nell’unire queste situazioni alla parte statistica”.
Alla luce di ciò, Ottaviani ha affermato inoltre che “finalmente questo fenomeno sta prendendo piede anche in Italia. Oggi il data journalist è veramente un giornalista a tutti gli effetti”. Dai dati una boccata d’ossigeno in un settore come quello giornalistico spesso restio ad accogliere l’innovazione.

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Andrea Vincenzi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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