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Il virus covid-19 sta cambiando la nostra realtà e sta facendo emergere vari lati del carattere umano. Tra questi, ce ne sono sicuramente di negativi, ma non mancano le storie positive, che ben fanno sperare sul fatto che, una volta finita questa emergenza, si possa magari pensare di ricostruire un realtà migliore di quella che abbiamo fino ad ora avuto. Tra queste testimonianze ce n’è una particolare. La storia di Carlos Calamante, italo argentino, comandante in forza alla compagnia aerea di bandiera argentina, è una di queste: pilota di lunga esperienza, non si è tirato indietro e si è offerto volontario per aderire al programma di recupero dei suoi connazionali in questo momento all’estero, ed ha già compiuto il primo volo, in Spagna. Dalla quarantena alla quale ora è sottoposto come precauzione, ci ha rilasciato questa intervista.

Dove nasce la passione per il volo?
È nato tutto in famiglia. A partire da mia madre, la quale negli anni ’50 era una pilota di alianti in una città, a quel tempo molto piccola, chiamata Tandil, a sud-ovest di Buenos Aires . Ho avuto anche zii piloti di aliante, altri che hanno una compagnia di applicazioni aeree, un altro che è un ingegnere aeronautico. In pratica dalla parte della famiglia di mia madre abbiamo respirato tutti in qualche modo l’aviazione.

Perché hai deciso di affrontare questo viaggio per recuperare gli argentini in paesi in piena emergenza sanitaria?
Perché penso che al momento dobbiamo essere solidali e aiutarci a vicenda, ognuno in ciò che può. Il medico e l’infermiere nell’ospedale; nel mio caso, invece, volando in aereo e portando compatrioti a casa. Questi, poi, sono i momenti in cui dobbiamo dimostrare perché dovrebbe esistere e perché dobbiamo difendere una linea di bandiera, come la ‘Aerolineas Argentinas’, dove lavoro.

Hai considerato i rischi a cui ti esponevi?
Sì, ovviamente. Seguiamo un protocollo che la società ha progettato per ridurre al minimo il contatto con possibili persone infette, usando, ad esempio, una toilette solo per l’equipaggio. Avevamo anche un protocollo nel caso in cui qualcuno avesse avuto sintomi da coronavirus.

Com’è andata l’operazione? Puoi descriverla?
Il volo è stato molto tranquillo, siamo partiti con un equipaggio verso Madrid. Quando siamo arrivati, abbiamo lasciato l’aereo ad un altro equipaggio che alloggiava nell’hotel dove siamo soliti riposarci, che in quel momento era chiuso. L’operazione d’ora in poi, però, sarà eseguita con un equipaggio rinforzato: 6 piloti e anche più assistenti di volo. Così da fare in modo che si vada e torni con lo stesso equipaggio, facendo turni di riposo.

Ti è mai venuto qualche dubbio?
Niente affatto. Sono assolutamente convinto che dobbiamo essere solidali.

Cosa risponderesti alle persone che hanno avuto un atteggiamento critico nei confronti dell’operazione di “salvataggio” a cui hai partecipato?
La verità è che mi ha dato molta rabbia e dolore. Quando sono sceso dall’aereo all’Ezeiza, l’aeroporto di Buenos Aires, un passeggero ha iniziato a lamentarsi, dicendo che eravamo degli irresponsabili, perché invece di riempire ogni posto nell’aereo, avremmo dovuto lasciare una fila vuota tra i posti, in questo modo avremmo ridotta la possibilità di contagio. Purtroppo il passeggero non aveva capito bene che era un volo di emergenza e tutti i passeggeri avrebbero dovuto, una volta scesi, seguire un protocollo di quarantena. Dopo più di 30 ore di volo e aver lasciato la mia casa come volontario, la pazienza non era tanta, ma nonostante ciò, ho provato a gestire la situazione al meglio. Gli ho detto: “Mi scusi, sono venuto qui, nei miei giorni liberi, e mi sono offerto volontario per cercarti. Penso di non meritare questo comportamento da parte tua”, a cui lui mi ha risposto: “È il tuo obbligo! Se non hai voglia di lavorare, rinuncia!” Sono rimasto senza parole. In ogni caso, sono molte di più le persone grate di quelle che si lamentano.

C’è stata un’altra occasione anni fa, durante l’uragano Maria a Miami, dove hai partecipato al salvataggio di argentini presenti lì. Com’è andata in quell’occasione?
Stava arrivando un uragano di grandi dimensioni che avrebbe colpito la Florida piuttosto duramente. Il governatore dello Stato aveva detto in TV che avrebbero evacuato Miami perché “erano in serio rischio di vita”. La gente fu presa dal panico. Iniziarono a chiudere tutte le attività commerciali, gli hotel, ecc. Le persone che stavano rimanendo lì non avevano nessun posto dove andare. È così che molti argentini disperati si sono recati all’aeroporto, volendo andarsene subito. La mia azienda ha inviato un volo speciale, e la mia partenza (mi trovavo già lì) fu anticipata e l’equipaggio che arrivò mi ha dato il comando dell’aereo ed è tornato indietro con me, perché non c’era alloggio. Le persone in preda al panico all’aeroporto volevano salire sul mio aereo, arrivando persino ad insultarmi per farlo. Quel giorno ho fatto di tutto, diciamo che ho superato molte linee legali in modo da poter evacuare il maggior numero di persone. Quando siamo arrivati a Buenos Aires, molti passeggeri che mi avevano insultato, si scusarono e andarono a prendermi persino dei regali. Non ho mai lasciato un aeroporto con così tante bottiglie di whisky, vini e cioccolatini!

Quale delle due operazioni, sebbene diverse, ti ha fatto più paura ? Come si supera la paura in questi casi?
Nessuna paura, i due voli erano diversi. L’uragano è stato molto complesso perché siamo stati ritardati di 2 ore, abbiamo dovuto spegnere i motori nel rodaggio perché c’erano circa 50 aerei che decollavano da Miami. Il personale d’operazione ha fatto l’errore di sottovalutare questi ritardi e non avevamo abbastanza carburante per raggiungere Bueanos Aires. Poi, aggiungiamo anche che lo spazio aereo di Kingston, in Jamaica, era stato chiuso, quindi abbiamo dovuto fare una grande deviazione attraverso lo spazio aereo messicano.
Il volo per il coronavirus, invece, è stato preoccupante perché arrivi in un aereo pieno di persone che fuggono dall’Europa, affrontando un nemico silenzioso che entra nel tuo corpo e non sai chi potrebbe infettarti. La situazione ti rende un po’ paranoico ma bisogna mantenere la calma.

Lo rifaresti, nonostante il pericolo?
Ora sono isolato in casa mia, non avendo alcun contatto con la mia famiglia, per proteggerli, ma nonostante questo lo rifarei. Ovviamente. Fin quando ci saranno persone da rimpatriare, io sarò a disposizione per farlo.

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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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